
Una parte consistente della produzione letteraria italiana degli ultimi anni è composta da libri gialli o noir che dir si voglia. Molti di questi racconti li pubblica Sellerio, casa editrice palermitana dallo stile grafico riconoscibile per l’eleganza delle sue copertine, tutte blu e dal formato rimpicciolito. In principio fu Camilleri, il maestro siculo dal volto pacioso e dalla voce affumicata, che si diverte a fare il verso a Sciascia e a Pirandello, e che di recente ha raggiunto il traguardo prestigioso (?) dei cento romanzi. A ruota, un gruppo di giovani autori più o meno interessanti: Manzini, Savatteri, Recami, Malvaldi, che con le loro narrazioni poliziesche disegnano nel contempo una road-map simbolica di tic, vizi e slang della nostra Italia sgangherata. È una prerogativa del giallo italiano quella di riuscire ad allargare lo sguardo ad ambienti che neppure la letteratura generalista riesce a sondare, perché presa, forse, più da drammi esistenziali e vicende familiari. Prendete ad esempio Alessandro Robecchi, figura di spicco di questa pregevole scuderia di autori noir. In un Paese che non sembra avere più niente da dire, ripiegato su se stesso e involgarito da social e tv da strapazzo, Robecchi, con l’epediente del giallo, riesce a costruire storie e ad imbastire trame che ci riportano a precedenti illustri e a letterature di altre latitudini, riuscendo a dare dignità e spessore ad un genere troppe volte sottostimato. Di rabbia e di vento è il suo terzo romanzo. Lo schema è quello collaudato del doppio binario investigativo: da una parte, la polizia – il sovrintendente Carella e il suo vice Ghezzi – dall’altra, Carlo Monterossi, autore pentito di “Crazy love” il programma televisivo di cuori infranti, “paccottiglia emotiva e pornografia dei sentimenti” prodotto dalla “Fabbrica Della Merda” e condotto dalla regina della tv popolare, Flora De Pisis “che Dio ci scampi“. Monterossi è un uomo affascinante, single, facoltoso – frequenta alberghi che “hanno più stelle della Via Lattea” e mangia in ristoranti dove “la lista dei whisky ha più pagine dell’Ulisse di Joyce” – ma quel mondo becero e insulso, fatto di lustrini, ricchezza esibita e tanta leggerezza non gli si confà. Meglio allora giocare al tenente Colombo e andarsene in giro con quell’altro amico suo, Oscar, il giornalista di cronaca nera così spregiudicato e addentrato negli ambienti della mala da sembrare uno di loro. Al centro del racconto, il duplice omicidio di un uomo, proprietario di una concessionaria di auto di lusso, e di una escort di alto bordo, colta, con una laurea in lettere presa con 110 e lode ma appesa sulla tazza del cesso, e una doppia, anzi tripla identità. Sullo sfondo di una Milano grigia e operosa, insolitamente ventosa, Monterossi e Falcone gareggiano con la polizia a risolvere il caso di un tesoro scomparso e di un morto che non è morto, disposto a tutto pur di ritrovare il suo prezioso malloppo. Suspance, denaro e niente sesso con la escort. Di rabbia e di vento è un romanzo brillante, veloce, ironico e dal taglio americano. Molto più di un giallo. Di Torto Marcio, il libro che Robecchi ha pubblicato nel 2017, avevo scritto di preferirlo alla saga di Hap e Leonard di Lansdale. Dopo aver letto Di rabbia e di vento, confermo la mia passione per Alessandro Robecchi e per la sua Milano buzzatiana.
Angelo Cennamo