
Molti di voi assoceranno il titolo di questo romanzo a uno dei capolavori di Don Winslow, il primo della trilogia epica sul narcotraffico. “Il potere del cane” è Don Winslow. Eppure qualche decennio prima, nel 1967, un altro scrittore americano (Thomas Savage), in Italia poco letto e tradotto, evidentemente – ma oggi grazie a una fortunata versione cinematografica del romanzo, finalmente riscoperto – volle dare lo stesso nome al quinto dei suoi tredici libri. Per quanto acclamato dalla critica e ben recensito su alcune testate importanti, l’opera di Savage vendette poco più di mille copie. Niente di nuovo sotto il sole, di casi simili la letteratura americana ne è piena: Fante, Richard Yates, John Williams ecc.
Siamo in una cittadina del Montana, l’anno è il 1924. Tutta la storia si svolge nel ranch dei fratelli Phil e George Burbank. I due sono non si somigliano per niente. Alto, magro, di bella presenza, Phil è l’aristocratico che non ti aspetti: colto da far paura ma rozzo come un vaccaro. Phil è laureato, legge molti libri, ma ha scelto di essere un cowboy. Sentite Savage: “Il suo arrivo interrompeva qualche discussione sulle puttane, la politica, i cavalli o l’amore, e produceva un silenzio che si prolungava fino a che il tonfo di un ceppo dentro la stufa non lo enfatizzava e uno degli uomini, terrorizzato dal silenzio, si sentiva in obbligo di dire qualcosa”.
Di tutt’altra pasta è George: grosso, lento anche nel pensiero, preciso, metodico, dedito soprattutto alla gestione economica del ranch.
Nella proprietà dei Burbank le giornate scorrono in un silenzio sinistro, intervallato solo dal rumore e le voci degli altri mandriani e dalle note che di tanto in tanto escono dal banjo di Phil (cosa non sa fare quell’uomo). Tutto cambia quando sulla scena arriva lei, Rose, vedova di Johnny, un medico frustrato e morto suicida (la figura di Johnny, nella sua breve apparizione, ricorda quella del Maestro di Vigevano: come il protagonista dell’opera di Mastronardi, Johnny vive la sua condizione di uomo istruito ma con poco denaro con disagio rispetto al benessere economico dei rancher che gli sono intorno, più autorevoli e rispettati di lui). George si innamora di Rose e in men che non si dica la sposa, all’insaputa di tutti. La presenza nel ranch della donna, alla quale si aggiunge quella del figlio adolescente Peter, scatenerà un inferno. La storia di Savage decolla, e le dinamiche familiari, soprattutto il rapporto conflittuale tra Phil e Peter, le cui personalità sono legate da un segreto inconfessabile, ne sono il miglior propellente.
“Il potere del cane” è un bellissimo western ma anche un romanzo spietato sull’omofobia. Ed è proprio la distanza siderale (come dicevo siamo negli anni Venti del secolo scorso) tra lo stile del vecchio west e l’omosessualità il fulcro, l’elemento di maggiore attrazione del libro, il cui sequel naturale potrebbe essere “Ferito” di Percival Everett, altro romanzo imperdibile.
Angelo Cennamo