
Leggete i libri lunghi. Perdetevi nei libri lunghi, anche in quelli più complessi, folli, che vi disorientano o che vorreste abbandonare dopo poche pagine, per sfinimento. Joshua Cohen è un giovane scrittore americano. Americano del New Jersey ed ebreo, come Philip Roth e Paul Auster. In Italia lo pubblica – inspiegabilmente – un piccolo editore, semisconosciuto: Codice Edizioni. Inspiegabilmente perché, a mio modesto avviso, il fatto che un romanziere come Cohen, tra i tre o quattro americani più interessanti della sua generazione, sia arrivato qui da noi solo per la geniale intuizione di una minuscola per quanto intraprendente casa editrice, è davvero singolare. Ma questa è un’altra storia.
Da diversi mesi avevo rimandato la lettura de Il libro dei numeri, romanzo uscito negli Usa nel 2015 e osannato da buona parte della critica, a cominciare dal compianto Harold Bloom “Questo di Cohen è un libro di una potenza devastante”. Mi sono deciso a farlo sull’onda emotiva del David Foster Wallace Tribute, che avevo presentato qualche giorno prima alla Feltrinelli di Salerno. Cosa c’entra Wallace, direte. C’entra. Pochi scrittori infatti ricordano il golden boy di Ithaca come Joshua Cohen per lo stile massimalistico-argomentativo, per la scrittura così virtuosa, algebrica, rigorosamente plasmata sulla modernità, fitta di dettagli talvolta esasperanti – la traduzione italiana è della bravissima Claudia Durastanti.
“Se state leggendo questa storia su uno schermo, andate a fanculo. Parlerò solo se sfogliato come si deve“. L’incipit del romanzo è folgorante. Lo è anche il resto. Ma di cosa parliamo? Il libro dei numeri ha una trama piuttosto semplice: uno scrittore fallito, Joshua Cohen come l’autore, viene ingaggiato come ghostwriter dal ceo di una grossa azienda informatica, una specie di Google, nella finzione chiamata Tetration, anche lui di nome Joshua Cohen. Il Cohen imprenditore è l’uomo che ha fatto a pezzi la carta stampata a cui l’altro Cohen ha dedicato tutta la vita. Entrambi hanno quarant’anni. La sfida lanciata da Cohen, il terzo Cohen, il Cohen autore, è intrigante: dimostrare che la letteratura sopravviverà a internet. Non è la prima volta che uno scrittore esplora il mondo dell’informatica attraverso la forma del romanzo; avevano già fatto qualcosa di simile Dave Eggers con Il cerchio e Jonathan Franzen con Purity. L’esperimento di Cohen però segue un percorso diverso: Cohen cioè non intende avvicinare il libro a internet, vuole portare internet dentro il libro. Il risultato è stupefacente, considerata anche la complessità di una sfida che procede lungo il crinale, delicatissimo, della dualità: parola/numero-letteratura/internet-carta stampata/ebook-CohenScrittore/CohenImprenditore. Lo stesso titolo del romanzo evoca il suo doppio: il IV libro della Bibbia. Gli ebrei vagano per quarant’anni nel deserto prima di poter accedere alla Terra Promessa (quaranta come l’età dei protagonisti). Nella versione di Cohen, i quarant’anni decorrono dal 1971 – nascita del microprocessore – e terminano nel 2011, con lo scandalo di WikiLeaks. Cos’altro aggiungere; Cohen confeziona un’opera gigantesca per originalità e per ampiezza narrativa. L’invenzione del motore di ricerca diventa infatti lo spunto per inglobare mille altri argomenti, di matrice storica e sociologica, in un poderoso e inarrestabile flusso di parole che l’autore di Atlantic City declina secondo le nuove applicazioni della scrittura: link, mail, messaggistica di varia natura. Come avrete capito, Il libro dei numeri è un romanzo-saggio che scavalca i confini della narrativa alla quale siamo stati abituati fino ad ora; un’opera destinata a diventare una pietra miliare della letteratura dei nostri tempi. E allora? Allora coraggio, non lasciatevi impressionare dalla mole; prendetevi una pausa, tirate il fiato, e fiondatevi tra le settecento e passa pagine di questo libro maledettamente folle, vertiginoso, unico, irripetibile.
Angelo Cennamo