La quadrilogia di Luca Ricci viaggia verso la sua conclusione. Dopo “Gli autunnali” (2018) e “Gli estivi” (2020) arriva in libreria il terzo capitolo della serie, la stagione fredda “L’inverno è la storia delle cose che abbiamo sepolto”.
“Gli invernali” non è il sequel del libro precedente, le storie di Ricci sono autoconclusive e i personaggi cambiano di volta in volta, eppure tutti e tre i romanzi sono legati dal “doppio filo” delle relazioni personali (matrimonio/adulterio), e di un certo mondo culturale: guasto, autoreferenziale, statico, anzi stitico. “Gli invernali” si discosta dagli altri due romanzi anche per ragioni, come dire, strutturali: la storia è polifonica e si esaurisce in un arco temporale brevissimo, solo ventiquattr’ore.
Scena uno. Antonio è un editore indipendente con le pezze al culo che si rifiuta di pubblicare il romanzo del suo migliore amico. Glenda, la moglie, un ufficio stampa molto precario. La coppia si ritrova a cena proprio con Tommaso, lo scrittore respinto, e la moglie Veronica, figlia di un Magnifico Rettore che finanzia entrambi.
Scena due. Camilla Lellis, scrittrice di romanzi rosa, e il suo amante Eugenio, noto agente letterario, si vedono a colazione con il marito di lei, un tecnico di fibre ottiche che di arte non sa nulla.
Scena tre. Una vecchia scrittrice, Nora, chiede all’ex marito, il temutissimo critico letterario Carlo Offenbach, di promuovere con una recensione il romanzo d’esordio del suo giovane amante Nanni.
La giostra nella quale si muovono gli otto protagonisti del libro è vertiginosa, pirotecnica, esilarante. La migliore dote di Ricci è il sarcasmo. Merce rara. Ricci l’ha affinata in corso d’opera, lavorando per addizione, aggiungendo strati, doppifondi, migliorando ulteriormente i dialoghi – “Gli invernali” è essenzialmente un romanzo di dialoghi – inserendo aforismi degni di Ennio Flaiano e gag alla Woody Allen. “Date retta a me, la letteratura farà la fine dell’Opera e del balletto. E saranno cazzi per tutti noi”.
Il pessimismo comico di Ricci non risparmia nessuno: autori, editori, critici, bookblogger da social immortalate con tazze e libri sulle cosce. La lunga scena dell’incontro tra Nora e Carlo, con lei che perora la causa di Nanni e lui che temporeggia, dice, non dice, pontifica, si trasforma in un piccante gioco di seduzione retroattiva. Carlo simula, ammicca, ricorda, sogna, finisce magicamente sul trampolino della piscina di “Per sempre lassù” di David Foster Wallace.
Scrivi di quello che sai, e Ricci obbedisce all’infallibile brocardo: la ritrosia di Antonio maschera una scabrosa e rocambolesca vicenda adulterina (per Ricci è come la terra rossa per Nadal). Il blocco di Tommaso invece nasconde una precisa ostinazione, la stessa del Lello Annibali de “Gli estivi”: non cedere alle lusinghe del mercato “Avrei potuto scrivere gialli, come tutti. Nessuno stronca un giallo, non ne vale la pena”. Il dramma è servito.
La lenta agonia dell’editoria, del suo goffo e avvilente terziario, come nel film di Sorrentino si consuma su una terrazza romana, aspettando una nevicata che non arriverà mai.
Angelo Cennamo