
Mattia Lanza è uno scrittore di successo, tradotto in tutte le lingue, con milioni di copie vendute nel mondo. Denaro, fan in delirio, una famiglia esemplare e un appartamento a Park Avenue (New York).
Tutto gira per il verso giusto fino alla sera in cui, tornato nella sua villa al Circo Massimo, “Il re del thriller italiano” trova la moglie e i due figli piccoli in un lago di sangue. Per due anni Mattia sarà l’unico indiziato di quella strage assurda che non sembra avere alcun movente. Due anni d’inferno che si concluderanno con il proscioglimento da ogni accusa e un solo desiderio: ricominciare a vivere. Mattia sa di avere una sola via di fuga dal passato, la cosa che gli riesce meglio: scrivere. Con l’aiuto della sua agente Giulia Brandi, si trasferisce in un luogo isolato, sul promontorio di Punta Acqua Bella, in Abruzzo, e inizia a lavorare a un nuovo romanzo.
“La casa sul promontorio”, l’ultimo romanzo di Romano De Marco – edito da Salani – inizia da qui. Ma fate attenzione a tutto quello che accadrà d’ora in avanti, perché l’autore vi condurrà in un dedalo di fatti e di situazioni che procederanno su due diversi piani narrativi, sovrapposti, concentrici: la storia raccontata da De Marco e quella raccontata dal suo alter ego.
Dicevo di Lanza che è uno scrittore molto amato e che i suoi bestseller sono richiestissimi anche all’estero; eppure nella sua bacheca non troverete né premi Strega né Campiello: Lanza è quel che si dice un autore “commerciale”, e di questo un po’ ne soffre. Il complesso di Lanza è lo stesso del Paul Sheldon di “Misery”, il libro nel quale Stephen King sfoga tutta la sua frustrazione per non essere considerato alla stregua dei suoi colleghi del Pulitzer. “Mi chiedono quanto guadagno, quanti libri vendo, ma non mi fanno mai domande sulla tecnica narrativa”, scrive King in “On writing”. “La casa sul promontorio” è un romanzo molto kinghiano: per contenuti, atmosfere, scavo psicologico. L’incontro tra Mattia e la sua vicina di casa, Eva Albani, è uno dei momenti chiave della storia. Eva è il personaggio più riuscito del libro; come Mattia, l’affascinante gallerista è fino alle ultime pagine sospesa tra il bene e il male (vittima o carnefice?). La sua ambiguità dà sostanza alla trama, e contribuisce a mantenere alta la tensione. La relazione tra i due protagonisti è un continuo alternarsi di slanci sessuali e diffidenze reciproche.
Eva, Mattia, i loro vissuti, il paesaggio che li circonda, sono i cardini del romanzo. Il silenzio del luogo è foriero di incontri sinistri: Mattia si sente spiato, seguito, strane presenze minacciano il clima di serenità che con fatica lo scrittore è riuscito a ritagliarsi in quello spicchio di terra sull’Adriatico.
Il “Cape Fear” di De Marco è “governato” da un costante senso di attesa: tutto tace ma sta per accadere qualcosa, lo si avverte in ogni pagina. Mattia Lanza nella finzione è “il re del thriller italiano”, Romano De Marco lo è per davvero, e chissenefrega dello Strega e del Campiello. De Marco è soprattutto uno scrittore onesto: nel suo libro non mancano colpi di scena ma non troverete furbate: le furbate sono un pessimo investimento per chi scrive. Cos’altro aggiungere: leggete “La casa sul promontorio” e fate un salto nella bella Ortona, il (vero) paese di De Marco.
Angelo Cennamo