
Don Robertson, nato nell’anno del Wall Street Crash – 1929 – a Cleveland, Ohio – ah questo Midwest – lo trovate nello scaffale dei grandi autori americani sconosciuti, in buona compagnia con John Williams, Charles Webb, Eudora Welty, Larry McMurtry, Hubert Selby jr, Ivan Doig, tanto per fare dei nomi in ordine – cronologico – sparso. In Italia è pubblicato da Nutrimenti, editore che si è specializzato nello scouting di scrittori yankees del suo target, e tradotto da Nicola Manuppelli. “L’uomo autentico”, “L’ultima stagione” e “Paradise Falls I e II” sono ormai dei classici amatissimi anche da un certo lettorato italiano – ahimè – di nicchia. “Il più grande spettacolo del mondo”, primo volume della c.d. trilogia di Morris Bird III, esce negli Stati Uniti nel 1965 (l’anno di “Stoner”). Oltre mezzo secolo dopo arriva qui da noi, sempre grazie a Nutrimenti, sulla scia dei successi che ho citato prima. Il romanzo racconta la storia di un ragazzino che vive nella Cleveland degli anni ’40. Morris Bird III abita in una delle case di legno che costeggiano Edmunds Avenue, con suo padre, un omone dalla voce suadente e un piede di legno che lavora alla Radio; sua madre, una donna minuta che colleziona gufi di ceramica; una sorella più piccola e la nonna. La storia di Morris, raccontata in terza persona, ha il sapore di altri capolavori del genere, da Oliver Twist di Charles Dickens ad Huckleberry Finn di Mark Twain. Morris è un ragazzino vivace, con molte curiosità, a metà strada tra una simpatica canaglia hollywoodiana e l’Oskar Schell del romanzo post Undici Settembre di Safran Foer. Va a scuola, gioca a baseball, è innamorato di Suzanne ma anche di Veronica; è affascinato dalla sua prof, signora Dallas, brava e con delle belle gambe, e sogna di diventare un uomo valoroso come il presidente Roosvelt. A Morris il coraggio non manca, e quando il suo amichetto Stanley lascia il quartiere per trasferirsi in un’altra zona della città, quel trasloco è la migliore occasione per dimostrarlo, a se stesso e agli altri. Senza dire niente ai suoi familiari, il piccolo protaginista decide di andare, da solo, a piedi, a trovare l’amico. È un tragitto di pochi chilometri ma il romanzo di Robertson è tutto in questo viaggio: movimentato, denso di incontri e di suggestioni. Il vagabondaggio di Morris mi ha ricordato quello di Donal ne “L’ultima corriera per la saggezza” di Ivan Doig – anche questo libro è pubblicato da Nutrimenti e tradotto da Manuppelli – ma anche i giri a vuoto per New York del più celebre Holden Caulfield di J.D. Salinger. Robertson non attinge, non copia, ma la cornice è più o meno la stessa. “Il più grande spettacolo del mondo” è un romanzo fresco e scorrevole. Cleveland, l’Ohio, un’America da respirare a pieni polmoni come le case di legno e di mattoni su Edmunds Avenue che profumano di pioggia; una ventata di bella letteratura americana scritta – e letta – con gli occhi di un bambino.
Angelo Cennamo