“Nella mezza età c’è mistero, c’è mistificazione. Il massimo che riesca a cogliere di questo periodo è una specie di solitudine.”
I diari che John Cheever scrisse dalla fine degli anni quaranta fino alla sua morte nel 1982 sono stati pubblicati in Italia da Feltrinelli, nel 2012, con il titolo Una specie di solitudine. Chi era John Cheever? Cosa c’è dietro l’immagine patinata del celebre scrittore americano del Novecento, autore di racconti e di romanzi di successo che noi tutti apprezziamo? Un uomo pieno di contraddizioni: amava la moglie e i figli ma si sentiva fragile, profondamente solo, incompreso, attratto dalle donne ma spaventato dall’idea di riconoscersi omosessuale “So di avere una natura tormentata… mi spaventa l’indefinitezza, il pensiero di essere omosessuale mi atterrisce“. La lunga narrazione che Cheever fa della propria vita è forse il suo libro migliore, sicuramente il più vero, il più intenso e poetico. Il flusso di coscienza, dettagliato, su ogni evento della vita familiare e professionale, ci riporta ad altre opere letterarie importanti, penso ad esempio alla saga di Frank Bascombe di Richard Ford o alle Lettere struggenti di John Fante, autore dalla personalità molto simile a quella di Cheever per la dipendenza dall’alcol, la malattia degli ultimi anni, soprattutto per le alterne fortune, la povertà che ha accompagnato entrambi in diversi tratti della loro carriera “Sembra proprio che, giunto a metà della mia vita, io non abbia fatto nessun progresso, a meno che non sia da considerarsi un progresso la rassegnazione…Siamo più poveri che mai. Siamo in ritardo con l’affitto, abbiamo poco da mangiare, relativamente poco: lingua e scatola e uova. Una montagna di bollette. Io posso scrivere un racconto alla settimana, forse più. Ci ho già provato in passato e non ci sono mai riuscito, ma riproverò” Non vi ricorda l’Arturo Bandini di Chiedi alla polvere?
Dicevamo dell’amore per la moglie Mary. Cheever ce la descrive come una donna talvolta cinica, scorbutica, poco attenta alle sue premure. La detestava per questo, ma ne era geloso e soffriva quando lei, sempre più di frequente, respingeva i suoi slanci affettivi e sessuali. L’idea del divorzio accompagnò entrambi per tutta la vita “Mi infilo in quel bidone dell’immondizia che è l’idea del divorzio“
Il tormento per la scrittura è ricco di spunti interessanti “Mi piacerebbe avere un vocabolario più muscolare. E devo stare attento con il mio accento raffinato” altre volte “mi ribello alla parlata comune“. Numerosi i passaggi in cui Cheever parla dei suoi colleghi, dell’antipatia per Saul Bellow “Le sue recensioni mi fanno vomitare… Ho usato la prima persona informale ben prima che uscisse Le avventure di Augie March Magari non dirà niente di sensato, ma non gli troverete una ciocca di capelli fuori posto”. Di tutt’altra pasta Nabokov “Apro Nabokov e rimango incantato da questa gamma di ambiguità, questa meravigliosa atmosfera di falsità… Lo stile della mia scrittura sarà sempre in certa misura prosaico“. Di John Updike scrive “Penso che non avesse pari tra gli scrittori della sua generazione“. Divertente il racconto di un incontro a colazione con Philip Roth “Bevo un drink, vado incontro a Philip Roth alla stazione con i due cani al guinzaglio… la conversazione prende un filone sessuale, ma lui parla, trovo, con grazia, acutezza, spirito”. La passione per Hemingway e il dispiacere alla notizia della sua morte “Si è sparato Hemingway, ieri mattina. Era un grande uomo. Non c’è mai stato, nella mia epoca, nessuno alla sua altezza”.
Ma più di ogni altro, il vero tema centrale di questi diari, di ogni suo singolo paragrafo, è la lotta con l’alcol. Spietata, fatta di pianti, incomprensioni, umiliazioni, depressione, liti furibonde con la moglie e con la figlia Susie “Uso il whisky come antidolorifico per buona parte della giornata“. Il quadro che gli prospetta lo psicologo è quello di un uomo nevrotico, narcisista, egocentrico, senza amici. Dopo vent’anni di dipendenza Cheever decide di farsi aiutare dagli Alcolisti Anonimi, entra in una clinica per disintossicarsi. Il tempo corre via, il successo, i premi, l’omosessualità che non è più vissuta come un tabù, ma anche i primi acciacchi e una diagnosi che non dà scampo. Una specie di solitudine è un libro meraviglioso che intenerisce, annoia, commuove, appassiona, il ritratto di una vita speciale e uguale a quella di tante altre, un’opera letteraria maestosa, indimenticabile.
Angelo Cennamo