CONSIDERA L’ARAGOSTA – David Foster Wallace

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“E’ giusto bollire una creatura viva e senziente solo per il piacere delle nostre papille gustative?” Separare il David Foster Wallace saggista dal narratore, non ha molto senso. Lo chiamano “massimalismo argomentativo”, cioè una specie di logorrea inarrestabile e/o isterica che spinge Wallace a descrivere ogni cosa minuziosamente, nei minimi particolari, dal più evidente al bosone di Higgs. Di questa maniacale specialità l’imbandanato Wallace è campione del mondo. Considera l’aragosta è una originalissima raccolta di saggi brevi, articoli, recensioni, lezioni universitarie, pubblicata nel 2005, nella quale il genio di Athena ci conduce nei posti più stravaganti di un’America insolita, come non l’abbiamo mai conosciuta prima. Il reportage dagli oscar del cinema porno, tra protesi siliconate, scenografie sgargianti e battute trash, è un capolavoro di comicità che ci ricorda una certa filmografia di Woody Allen. Un’America trumpiana, a tinte forti, insulsa e volgare, nella quale Wallace affonda il bisturi dell’ironia tratteggiando alla sua maniera miti e performance della pornografia più spinta. Interessante la dotta e complicata dissertazione tra Prescrittisvismo e Descrittivismo nell’uso della lingua americana, con le sue insospettabili declinazioni politiche e sociologiche: “Tradizionalmente, i Prescrittivisti tendono ad essere conservatori politici e i Descrittivisti tendono ad essere liberali”. Profonda, quasi romanzesca, la tragedia dell’11 Settembre vissuta e raccontata da una vecchietta di Bloomington, una ricca cittadina del Midwest, circondata da enormi distese di granturco che somigliano ad un oceano. Appassionante e struggente è invece il racconto dell’ascesa di Tracy Austin, la baby campionessa del tennis mondiale, ritiratasi a soli vent’anni dopo una serie di infortuni “Negli atleti di livello mondiale che si affrancano dalle leggi della fisica c’è una bellezza trascendente che rende manifesto Dio nell’uomo. I grandi atleti sono la profondità in movimento”. Peccato che le autobiografie dei campioni dello sport non siano mai all’altezza del loro talento atletico “Per me resta difficile riconciliare l’insulsaggine della mente narrativa di Austin, da un parte, con gli straordinari poteri mentali che sono richiesti nel tennis di livello mondiale dall’altra”. Analizzare l’ironia di Kafka è per Wallace un bell’esercizio di stile, così come rappresentare la grandezza di uno scrittore assai distante nel tempo e dalla cultura americana: Fedor Dostoevskij. Seguire per conto della rivista “Rolling Stone” John McCain  “un senatore repubblicano realmente di destra, eletto in uno degli stati politicamente più trogloditi del Paese”, è un’occasione per conoscere e approfondire i rapporti tra media e politica. Avventurarsi tra i reporter delle primarie repubblicane, un’esperienza faticosa ed esaltante anche per i lettori, che nelle ultime pagine di questa folle corsa attraverso l’America si ritrovano nel lontanissimo Stato del Maine a spolpare e divorare pregiatissimi crostacei. Ma che male vi hanno fatto, le aragoste?

Angelo Cennamo

 

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UN UOMO – Oriana Fallaci

UN UOMO

Giornalista, saggista ma anche autrice di fiction. “Un uomo”, pubblicato nel 1979, è il romanzo della maturità e della consacrazione di Oriana Fallaci. Il protagonista della storia, realmente vissuta dalla scrittrice, è Alekos Panagulis, poeta ed eroe della Resistenza nella Grecia dei colonnelli. La Fallaci lo raggiunge ad Atene per un’intervista. Rimane ospite a casa sua per qualche giorno. Se ne innamora. La relazione tra Alekos e Oriana è fin da subito tormentata, violenta. Sono anni difficili per la Grecia (anche allora); Panagulis viene arrestato e torturato per le sue idee sovversive. Ritrova la libertà e si candida alle elezioni politiche. Sullo sfondo della storia d’amore si impongono le vicende storiche di un Paese lacerato dalla dittatura e dal futuro incerto. Oriana è costretta suo malgrado  a vivere un’unione scomoda e forse incompatibile con i propri impegni professionali che la portano a girare il mondo. I due amanti si lasciano, si ritrovano in un labirinto di gioie confuse. Oriana aspetta un figlio; lo perde quando scopre che lui la tradisce con un’altra donna. Quell’esperienza così atroce finirà in un altro romanzo “Lettera a un bambino mai nato”. Eppure la relazione prosegue, ritrova perfino la vitalità dei primi tempi; poi il giorno, quello maledetto, che dividerà per sempre le strade dei due amanti. La sera del primo maggio del 1976, Panagulis monta in macchina per iniziare un viaggio senza ritorno. 

“Un libro sulla solitudine dell’individuo che rifiuta d’essere catalogato, schematizzato, incasellato dalle mode, dalle ideologie, dalle società, dal Potere. Un libro sulla tragedia del poeta che non vuole essere uomo-massa. Un libro sull’eroe che si batte da solo per la libertà e per la verità”.

Angelo Cennamo

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PASTORALE AMERICANA – Philip Roth

 

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Seymour Levov è un imprenditore di successo, con una moglie bellissima e una famiglia esemplare. Al liceo lo chiamavano “lo Svedese” per le sue origini scandinave. Alto, prestante, dalle straordinarie doti atletiche “brillava come estremo nel football, pivot nel basket e prima base nel baseball”, ovunque apparisse, il giovane Seymour faceva innamorare tutti per i suoi modi gentili e per la sua fisicità così potente e armoniosa. “I genitori sorridevano e lo chiamavano bonariamente “Seymour”. Le ragazze chiacchierine che incontrava per la strada fingevano di svenire, e la più audace gli gridava : Torna indietro, torna indietro, Levov della mi vita!”. Se lo ricorda bene, Nathan Zuckerman, autore suo malgrado di questa storia immaginaria, che in quel liceo di Newark aveva come compagno di classe il fratello minore di Seymour, Jerry “un ragazzo con la testa piccola, magrissimo e flessibile come una stecca di liquirizia”. Negli anni Cinquanta, “lo Svedese”, il ragazzo prodigio, il più amato, il più invidiato, sembra atteso da una vita di successi professionali e di gioie familiari, fino a quando un tragico imprevisto legato alle contraddizioni della guerra in Vietnam e che coinvolge l’adorata figlia Merry, quella vita non la fa a pezzi. Allora tutto appare diverso da come sembra e nulla è più salvabile.

Pubblicato nel 1997 e vincitore del premio Pulitzer, Pastorale americana è il capolavoro di Philip Roth, il più celebre dei suoi libri. Il grande romanzo americano che racconta il falso mito della borghesia degli anni Sessanta e l’ipocrisia della perfezione familiare, dietro la quale spesso si celano tradimenti e inganni di ogni genere.

Pastorale americana fa parte della seconda produzione letteraria di Roth –  quella in cui lo scrittore di Newark, dopo essersi ribellato, da figlio, all’educazione familiare e alla tradizione ebraica in romanzi come: Lamento di Portnoy, Zuckerman scatenato e Patrimonio, veste i panni del “padre” per raccontare storie di padri – ed è un libro che scava nel marcio di una nazione fintamente gioiosa, sorridente, patinata, nonostante gli echi dolorosi del Vietnam, e di una società che sogna l’ordine e la prosperità, ma che è incapace di fare i conti con i propri limiti e con i drammi interiori. Un romanzo cinico, feroce, spietato ed ironico, nella migliore tradizione di Philip Roth.

Angelo Cennamo

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FORTE MOVIMENTO – Jonathan Franzen

Un misterioso sciame sismico colpisce la città di Boston uccidendo una ricca scrittrice New Age. Suo nipote, Louis Holland, si innamora di una stravagante e introversa sismologa dell’Università di Harvard, Renèe Seitchek, e insieme a lei inizia ad indagare sulle cause dei terremoti. La scoperta di Renèe è clamorosa: le scosse che fanno tremare Boston non sono originate da un fenomeno naturale ma provocate dalla Sweeting-Aldren, una nota industria chimica della zona che per anni ha smaltito rifiuti tossici nel sottosuolo. Il caso si complica ulteriormente dal momento che la maggiore azionista della Sweeting-Aldren è diventata Melanie, la madre cinica e anaffettiva di Louis. Renèe è vicina a svelare l’oscuro segreto, finalmente ne ha le prove, ma rischia di pagare con la vita la sua curiosità. Siamo nel 1992 quando il trentenne Jonathan Franzen pubblica Forte Movimento, il giallo ambientalista che racconta la complicata storia d’amore tra Louis e Renèe, preludio del più celebre Le Correzioni, finito di scrivere nove anni dopo. In Forte Movimento – il secondo libro di Franzen dopo l’esperimento iniziale e malriuscito de La Ventisettesima città – le doti narrative che qualche anno più tardi faranno di questo giovanotto semisconosciuto uno degli scrittori contemporanei più noti ed apprezzati, sono già mature, cristalline: la prosa elegante, la capacità di scavare nel vissuto dei personaggi, quel sottile umorismo venato di malinconia che solca la trama dall’inizio alla fine del racconto. Come nei romanzi successivi – Le Correzioni, Libertà e Purity – anche in Forte Movimento Franzen si dimostra abile nel rappresentare i conflitti familiari, l’amore e l’amicizia spesso non corrisposti, e nella capacità di cogliere le distorsioni, gli istinti piu bassi della società americana, tic e manie.

Forte Movimento è un romanzo ambizioso che attraversa più generi letterari, ben strutturato, senza rallentamenti o divagazioni noiose. Un libro denso di mistero e di passione col quale l’autore non sembra essersi separato del tutto dalla originaria impostazione postmoderna. È forse l’opera meno conosciuta di Franzen, ma bella e interessante come i romanzi della maturità.

Angelo Cennamo           

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TELEGRAPH AVENUE – Michael Chabon

 

Telegraph Avenue

 

 

Archy Stallings e Nat Jaffe gestiscono un negozio di dischi usati in vinile su Telegraph Avenue, a Oakland. Il Brokeland Records è un caravanserraglio dove la gente sta insieme, si rilassa, ascolta buona musica e si racconta storie ricamando a più non posso. Un piccolo mondo antico di ricordi e nostalgie che resiste alla grande ondata del capitalismo tardo-moderno e alla minaccia del Dogpile, il megastore di dischi che Gibson Goode – il quinto nero più ricco d’America ed ex campione di football – vuole aprire a pochi isolati dal Brokeland. Intorno al negozietto di Archy e Nat ruota un’umanità rarefatta di personaggi variopinti e molto americani : Gwen e Aviva, le mogli ostetriche dei due protagonisti, Julie e Titus i loro figli quindicenni omosessuali, Cochise Jones, lo stravagante organista funky che se ne va in giro con Cinquantotto, il pappagallo sboccato che ricorda tanto Vlad l’Impalatore – il pennuto de La Scopa del Sistema di Wallace che fa sermoni religiosi su una tv via cavo, Chan Flowers, il consigliere comunale proprietario di un’agenzia di pompe funebri, e Luther Stallings, vecchia star del kung fu e del cinema nero, nonché padre sciagurato di Arcky. E’ il mondo favoloso che Michael Chabon ci ha fatto conoscere con le sue storie frizzanti e colorate, dalle Fantastiche Avventure di Kavalier & Clay in avanti. Telegraph Avenue è un romanzo sulla nostalgia e sulla musica nera, nera come Arcky e la sua giovane moglie incinta. Un sogno americano venato di blues e di un’umanità calda e generosa che tocca le corde più profonde dei nostri sentimenti. Un melting pot di suoni e suggestioni afro che appartengono a un passato duro a morire. Chabon ci conduce nelle viscere dell’America più vera, senza filtri né ipocrisie. Un viaggio stupefacente tra i ritagli di un tempo già vissuto che vorremmo non finisse mai. Viva la buona musica, viva Michael Chabon.

Angelo Cennamo                    

 

 

 

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CHIEDI ALLA POLVERE – John Fante

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“Ero giovane, saltavo i pasti, mi ubriacavo e mi sforzavo di diventare uno scrittore. Le mie letture andavo a farle nella biblioteca di Los Angeles, nel centro della città, ma niente di quello che leggevo aveva un rapporto con me, con le strade o con la gente che le percorreva. Poi, un giorno, presi un volume e capii di essere arrivato in porto. Cominciai a leggerlo e mi parve di che mi fosse capitato un miracolo, grande, inatteso”.

Così Charles Bukowski, alla ricerca di uno stile narrativo in prima persona, racconta l’incontro folgorante, del tutto casuale, con Arturo Bandini, protagonista di Chiedi alla polvere, il capolavoro di John Fante, pubblicato nel 1939 ma rimasto sconosciuto al grande pubblico fino alla fortunosa ristampa del 1980, sollecitata proprio da Bukowski che del libro scrisse la prefazione. Da allora il romanzo divenne un bestseller, un cult della letteratura americana con milioni di copie vendute anche in Europa. E quando, nel 2003,  La Repubblica lo distribuì in edicola con tirature da capogiro, nessuno si stupì più della ennesima consacrazione italiana del narratore “dimenticato” più famoso del mondo. Chiedi alla polvere racconta la storia di un giovane scrittore di origini italiane, alter ego di Fante, che dal Colorado si trasferisce a Los Angeles in cerca di successo. Quella dello scrittore alter ego è un espediente letterario al quale ricorrono molti autori nordamericani, basti citare il Daniel Quinn della Trilogia di New York di Paul Auster; il Nathan Zuckerman di Philip Roth e l’Hank Chinaski dello stesso Bukowski. Arturo Bandini è uno spiantato, molto sicuro di sé ma senza ispirazione. Ha pubblicato un solo racconto dal titolo bizzarro: “E il cagnolino rise”. I pochi dollari guadagnati gli sono finiti e non sa più come pagare il fitto della camera dove alloggia, e neppure come nutrirsi decentemente senza dover ricorrere a penosi stratagemmi del tipo rubare il latte da un camioncino mentre il garzone è impegnato a fare il giro dell’isolato. Conosce Camilla, una ragazza di origini messicane che fa la cameriera in una birreria vicina. Se ne innamora, ma sul più bello gli manca la giusta passione per possederla. Come quella sera al mare – nella scena più poetica del romanzo – quando tutti e due, nudi, nuotano tra le onde dell’oceano al chiaro di luna. Camilla è una ragazza misteriosa, attratta da Bandini ma innamorata di un altro uomo che però di lei non vuole saperne. La storia è un continuo rincorrersi. E  proprio quando Arturo sembra averla conquistata definitivamente, lei scompare di nuovo come inghiottita dal deserto. Può essere che qualcuno l’abbia tirata su e l’abbia portata in Messico. Può darsi sia tornata a Los Angeles e sia morta in una stanza polverosa. Nessuno da allora l’ha più vista.

“Così l’ho intitolato Chiedi alla polvere, perché in quelle strade c’è la polvere dell’Est e del Middle West, ed è una polvere da cui non cresce nulla, una cultura senza radici, una frenetica ricerca di un riparo, la furia cieca di un popolo senza speranze alle prese con la ricerca affannosa di una pace che non potrà mai raggiungere. E c’è una ragazza ingannata dall’idea che felici fossero quelli che si affannavano, e voleva essere dei loro”.

Anch’io come Bukowski ho scoperto John Fante prendendo per caso un volume dallo scaffale di una libreria, e come lui ne sono rimasto folgorato. Chiedi alla polvere è un romanzo dalla struttura semplice, con pochi personaggi, ma è un libro intenso e ricco di suggestioni che non si dimenticano.

Angelo Cennamo

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SUNSET PARK – Paul Auster

 

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Le nostre vite sono governate dal caso. Questo raccontano i libri e la biografia di Paul Auster – intellettuale americano, nato a Newark ed ebreo come il suo collega Philip Roth – Sunset Park, romanzo uscito nel 2010 e pubblicato in Italia dalla Einaudi, non fa eccezione. Siamo negli anni ’10 del XXI secolo; l’America, che non ha ancora smaltito i postumi dell’11 settembre, deve ora fare i conti con la peggiore crisi economica dai tempi del crollo di Wall Street. Miles Heller e’ un ragazzo di 28 anni, appassionato di letteratura, che fa uno strano lavoro: entra nelle abitazioni pignorate dalle banche e fotografa gli oggetti che gli inquilini vi hanno lasciato. Sette anni prima era fuggito da New York e da una brutta vicenda che aveva segnato la sua adolescenza: mentre litigavano sul ciglio di una strada, Miles aveva spinto il  fratellastro Bobby sotto un’auto, causandone la morte. Lo aveva fatto apposta? Quel gesto poteva definirsi un omicidio o si era trattato piuttosto di una drammatica coincidenza? Da allora ne e’ trascorso del tempo, ma il ricordo di quella giornata tragica non smette di tormentarlo. Oggi Miles vive in Florida ed e’ innamoratissimo di Pilar Sanchez, una ragazza minorenne di origini cubane, conosciuta anche lei per caso: in un parco pubblico, a pochi metri l’uno dall’altra, entrambi stavano leggendo lo stesso romanzo Il Grande Gatsby. Ma la fuga di Miles non si ferma qui; gli eventi lo costringono nuovamente a cambiare aria e a trasferirsi nella sua New York. Sunset Park e’ una periferia di Brooklyn “un piccolo mondo isolato dal mondo, dove il tempo cammina così lento che pochi si prendono la briga di portare l’orologio“. Miles viene ospitato da un gruppo di squatter, giovani e precari come lui, che occupano abusivamente una casa abbandonata: un vecchio amico musicista che detesta la modernità, un’agente immobiliare, aspirante pittrice, caduta in depressione dopo essere stata  sedotta da un ragazzo molto più giovane di lei, e una studentessa di cinema, con problemi di linea, impegnata con la tesi di laurea. Una combriccola di disperati, in fuga dalle loro vite come il protagonista, sui quali pende più di un’ingiunzione di sfratto. Ritornare a  New York per Miles significa soprattutto ritrovare i suoi genitori divorziati e fare i conti con quel passato ingombrante che in tutti questi anni ha cercato invano di cancellare. Sarà un’impresa difficile e dolorosa.

Sunset Park e’ un romanzo sul rimorso, sulla famiglia, e sulla voglia di vivere. Una storia emozionante – con un tributo alla buona letteratura – scritta dal più raffinato ed europeo degli scrittori americani. ‎

Angelo Cennamo

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IL COMMESSO – Bernard Malamud

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Racconta Marco Missiroli nella sua appassionata prefazione de Il Commesso romanzo pubblicato nel 1957 – che Bernard Malamud, non appena seppe di aver vinto il National Book Award, uscì in strada e cominciò a passeggiare a lungo. Vagò senza una meta. Stanco, si addentrò poi in un parco e si sedette su una panchina. Non rifletté sulle conseguenze del premio più prestigioso d’America che aveva vinto, ma pensò a sua madre morta. Festeggio’ quel successo, da solo, concentrato sul ricordo dei suoi genitori, dei sacrifici e le rinunce che avevano preceduto l’inaspettato trionfo.

Il Commesso è il romanzo della consacrazione di Malamud, scrittore di origini russe, tra i protagonisti della letteratura ebraica americana del Novecento con Saul Bellow e Philip Roth. Racconta la storia di un negoziante ebreo, Morris Bober, che a Brooklyn gestisce una bottega di generi alimentari. Gli affari gli vanno male perché nella stessa strada hanno aperto altri due negozi che gli fanno concorrenza. Di fronte alla crisi e alla tentazione di deviare dal giusto, Morris resiste nella sua rettitudine e riesce a trovare nella propria fede la forza per andare avanti. È un gran lavoratore ‎“Sgobbava per ore e ore, era l’onestà fatta persona, l’onestà era la sua palla al piede, non poteva sfuggirle; sarebbe scoppiato se avesse imbrogliato qualcuno; eppure si fidava degli imbroglioni – non invidiava niente a nessuno e diventava sempre più povero. Più sgobbava, meno sembrava possedere”. Contro di lui la sfortuna sembra accanirsi, è come se Morris fosse un uomo segnato dal destino: nella cultura yiddish “Bober” significa uomo che vale poco. Un giorno capita nella sua bottega un ragazzo di origini italiane, un vagabondo, un inconcludente dal passato opaco. Frank Alpine è cresciuto in un orfanotrofio, e prima di trasferirsi a New York ha vissuto di espedienti, di furtarelli. Si offre come garzone a Morris perché, dice, ha voglia di imparare un mestiere e iniziare una nuova vita. In cambio non chiede nulla, gli basta vitto e alloggio. Nonostante la diffidenza e le resistenze di sua moglie, il negoziante, ancora convalescente per un’aggressione subita proprio nella sua bottega, decide di prenderlo con sé e lo inizia al commercio. Frank da subito si mostra volenteroso, sembra avere una naturale predisposizione per quel nuovo lavoro, ma la sua condotta, dentro e fuori il negozio, desta continui sospetti. Conosce Helen, la figlia di Morris, una ragazza triste, delusa dalla vita, costretta ad abbandonare gli studi universitari per aiutare il padre. Se ne innamora.

Le storie dei tre protagonisti iniziano piano piano ad intrecciarsi in un racconto dall’impianto solido, ben strutturato, sempre sul filo della tragedia e dell’ironia. La scrittura di Malamud è disadorna, fatta di frasi brevi, ma fluida, potente. Malamud scava nelle vite dei personaggi e ne rivela le contraddizioni, le ambiguità. Morris è un uomo religioso, misericordioso, rassegnato alla sconfitta “come se il non possedere ce l’avesse nel sangue”, ma anche quando sta per toccare il fondo non perde mai la propria dignità. Frank, invece, nonostante gli sforzi e i buoni propositi, sembra non riuscire ad emanciparsi dal suo vissuto fraudolento, la sua figura poco limpida resta in bilico tra il bene e il male.

Il Commesso è un elogio della rettitudine, ma, per quanto sia prodigo di insegnamenti, non trascende nel facile moralismo. Il miglior romanzo di Bernard Malamud con Le vite di Dubin.

Angelo Cennamo            

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