
“Per molti la noia è il contrario del divertimento; e divertimento è distrazione, dimenticanza. Per me, invece, la noia non è il contrario del divertimento; potrei dire, anzi, addirittura, che per certi aspetti essa rassomiglia al divertimento in quanto, appunto, provoca distrazione e dimenticanza, sia pure di un genere molto particolare. La noia, per me, è propriamente una specie di insufficienza o inadeguatezza o scarsità della realtà”.
Dino è un uomo annoiato dalla ricchezza, indifferente a tutto e alienato dalla vita sociale. Dopo essere fuggito dalla villa di famiglia e dagli agi nei quali vive sua madre, decide di darsi alla pittura e si trasferisce in via Margutta, nello stesso stabile in cui ha lo studio un vecchio pittore, Balestrieri, noto erotomane, invaghitosi di una sua modella diciasettenne. Proprio durante uno dei ripetuti ed ossessivi slanci amorosi, Balestrieri muore tra le braccia di Cecilia, questo il nome della sua giovane musa ispiratrice e personaggio cardine del romanzo. Cecilia è una ragazzina apparentemente gracile, insignificante; poco loquace, senza idee e senza valori, priva di curiosità e di interessi, completamente apatica ed incapace di esprimersi se non attraverso il sesso “il volto lo aveva rotondo, da bambina; ma una bambina cresciuta troppo in fretta e iniziata troppo presto alle esperienze muliebri.” La Lolita di Moravia ci ricorda un’altra ragazzina disinibita e viziata della letteratura italiana del Novecento, la Laide Anfossi di Un Amore di Dino Buzzati. Come Laide fa impazzire di gelosia l’attempato Dorigo, risucchiandolo nel vortice di un sentimento ossessivo e autodistruttivo, allo stesso modo, la comparsa di Cecilia nella vita di Dino travolge ogni cosa trasformandosi in una presenza angosciante, un delirio infinito dal quale il protagonista non riesce più a liberarsi. Dino scopre di amare Cecilia lo stesso giorno in cui decide di lasciarla. Vedendola sotto braccio con un altro uomo, un attore spiantato e più giovane di lui, è colto da un inspiegabile ed irrefrenabile attacco di gelosia. Inizia allora a seguirla, a spiarla. Decide di pagarla dopo aver fatto sesso, pur di imparare a disprezzarla e riuscire a mandarla via. Dino è un paranoico, e la sua ossessione, così morbosa e paradossale, anziché allontanarlo dall’amante crudele, lo spinge a rilanciare e a proseguire la relazione anche dopo la confessione del tradimento di lei. Tutto sembra perduto. Dino è incapace di sottrarsi al giogo infernale della sua insana passione e alla condanna che si è autoinflitto. Arriva addirittura a pensare che solo sposando Cecilia riuscirà ad accettare la dura realtà e ad annoiarsi di lei. L’ennesima illusione.
“Eccola la chiave alla base di tutto, la chiave della vita moderna e della vera felicità: essere, in una parola, inannoiabile” David Foster Wallace.
La Noia è un romanzo del 1960, il cardine di una trilogia ideale che Alberto Moravia – al secolo Alberto Pincherle – ha iniziato con Gli Indifferenti e concluso con La Vita interiore. Dire di Moravia che è uno dei maggiori scrittori del Novecento italiano, sarebbe scontato. Non lo è invece azzardare una verità alla quale non tutti danno la giusta risonanza, e cioè che è proprio con Gli Indifferenti – il romanzo d’esordio che Moravia cominciò a scrivere quando non aveva ancora compiuto diciotto anni – e non con i libri di Sartre e di Camus, che ha inizio la corrente dell’esistenzialismo.
Moravia ha saputo raccontare il suo tempo con la scrittura del suo tempo: minimalista, moderna, lasciandoci pagine indimenticabili che a distanza di anni conservano intatto smalto e freschezza. La Noia è uno dei libri migliori, forse il più rappresentativo della poetica e dell’identità moraviana.
Angelo Cennamo
quando un autore resta legato al suo piccolo spazio di tempo non è -per me- tra i grandi scrittori. Diciamo che è una “NOIA”? (salvo LA ROMANA)
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