
E’ l’identità la cifra dell’intera produzione letteraria di Zadie Smith, scrittrice anglo-giamaicana rivelatasi nel 2000, a poco più di vent’anni, con il romanzo Denti bianchi. Per definire il suo stile postmoderno e ricercato, il critico James Wood coniò l’espressione “realismo isterico”, definizione poi estesa anche ad un altro autore di culto degli ultimi decenni, l’americano David Foster Wallace.
Swing Time, pubblicato in Italia nel 2017, è il quinto romanzo della Smith. Mi è capitato di leggerlo proprio nei giorni in cui il parlamento si è pronunciato sul tema controverso dello Ius soli, ovvero sull’identità che non si tramanda dai genitori ai figli ma che si costruisce sul territorio attraverso l’inclusione e la contaminazione culturale. E’ lo scenario nel quale si muovono i personaggi del romanzo della Smith, che racconta una lunga la storia di amicizia e inimicizia cominciata nella periferia multietnica di Londra nei primi anni Ottanta. Le protagoniste sono due bambine di sette anni che si incontrano la prima volta ad un corso di danza tenuto da una parrocchia. Si somigliano, hanno la stessa pelle scura e le stesse ambizioni. Molto diverse sono invece le loro madri: truccatissima e appariscente quella di Tracey, piuttosto sobria e femminista l’altra, senza nome lei senza nome la figlia che è la voce narrante del libro. Tracey è particolarmente dotata e portata per il balletto, meno la sua amica, che scopre di avere i piedi piatti e una madre che la spinge a fare altro. “Non ho lo smartphone, così lo nego a mia figlia” ha detto la Smith in un’intervista uscita in occasione della pubblicazione del libro. E’ lei la madre della bambina protagonista di Swing Time, ho pensato: lo stesso rigore, la stessa passione ideologica che mostra di avere il personaggio del romanzo. La Zadie della fiction è sposata con un uomo che non ha mai amato ed è molto presa dallo studio e dalle proprie ambizioni politiche. Più avanti nel racconto arriverà a sedere nel parlamento inglese, tra i banchi del partito laburista immaginiamo, e si legherà sentimentalmente ad una sua collaboratrice. Sua figlia intanto rinuncia ad ogni ambizione artistica per dedicarsi agli studi universitari. Nel network televisivo dove comincia a lavorare conosce Aimee, una celebre popstar australiana di passaggio in Inghilterra per promuovere il suo nuovo disco. Diventerà la sua assistente e la seguirà in giro per il mondo. Tra alterne vicende, le strade delle due giovani protagoniste sembrano dividersi per sempre. Tracey spicca il volo come ballerina professionista, la sua amica verrà invece coinvolta in un progetto benefico finanziato da Aimee in Africa. Ed è qui che il romanzo della Smith raggiunge il suo zenith. Il ritorno alle origini, nell’universo lento e ancestrale del continente nero è l’espediente attraverso il quale l’autrice ritrova il senso della propria identità e mette in correlazione due stili di vita, due modi di pensare e di vedere il mondo. La Zadie della fiction e la ricca e superficiale popstar ne sono le interpreti.
Swing Time è un romanzo ambizioso, carico di sentimenti e di riflessioni sociologiche su temi importanti e di stretta attualità. La scrittura di Zadie Smith, incalzante come i passi ritmati di Fred Astarire e di Michael Jackson, è quanto di più moderno ci possa essere nella letteratura contemporanea. La Smith è perfettamente calata nel suo tempo, sa occupare gli spazi, riprodurne e interpretarne gli umori; e l’ampio respiro delle storie che racconta, così universali, colorate, multietniche, ci spalancano gli occhi su una società sempre più globalizzata e iperconnessa.
Angelo Cennamo