PATRIA – Fernando Aramburu

 

Patria

 

 

Siamo tra gli anni Settanta e Ottanta nell’entroterra di San Sebastián, nei Paesi Baschi, terra di confine tra due Spagne che non si riconoscono e che parlano lingue diverse: il castigliano e l’euskera. Qui vivono le famiglie di Joxian e Txato, vicini di casa e amici inseparabili, con i loro figli e le rispettive mogli, Miren e Bittori. Gente semplice, legata alle tradizioni contadine, che si diverte con poco: il ciclismo, le partite a carte in osteria, quattro passi in piazza dopo la messa. Poi tutto cambia. Quel clima di serena e pacifica convivenza, quella socialità così schietta, allegra, bucolica, pregna di solidarietà cristiana, vengono spazzati via dalla ferocia del terrorismo indipendentista, l’ETA. Un fatto tragico ed imprevedibile finisce per allontanare le due famiglie e tracciare un solco nelle loro vite, una ferita che non si può rimarginare. Txato viene preso di mira dai terroristi perché si rifiuta di pagare il pizzo: non vuole contribuire al finanziamento della lotta armata. In paese lo additano come un traditore, molti lo evitano, Joxian compreso, il suo amico più caro, che, quando lo incontra per strada, finge addirittura di non conoscerlo. Lettere minatorie, scritte sui muri, avvertimenti: il destino di Txato sembra ormai segnato. E’ un destino tragico e beffardo perché nel commando che lo ucciderà quel pomeriggio piovoso, proprio sotto casa sua, a due passi dal garage, ci sarà Joxe Mari, uno dei figli di Joxian. Da questo momento, la storia acquista i toni, il vigore del dramma, e prende il largo con i suoi numerosi personaggi che calcano la scena da veri protagonisti. Tutti, nessuno escluso. A cominciare dalle due matriarche, Bittori e Miren, eroine tragiche di un romanzo maestoso e corale come pochi altri. La prima, alla ricerca del difficile perdono da parte di Joxe Mari, nel frattempo catturato dalla Guardia Civil e condannato all’ergastolo; la seconda, ostinata a difendere le ragioni del figlio, rafforzata nel proprio convincimento dalle prediche di don Serapio, il parroco che abbraccia gli ideali del terrorismo e che giudica una provocazione il ritorno in paese di Bittori.

La vicenda del Txato è solo una delle tante trame che vengono raccontate nel romanzo, uno per ogni personaggio verrebbe da dire, racconti intrecciati tra di loro da un vissuto in parte comune, che si collegano al tragico omicidio del padre e amico di famiglia per poi affrancarsi dal tema principale e proseguire in altre direzioni. La storia di Gorka, ad esempio, scrittore in erba e fratello minore del terrorista Joxe Mari, che rifiuta di arruolarsi nell’ETA pur difendendo con la poesia e la narrativa le peculiarità culturali della regione basca – leggendo di Gorka ho pensato all’autore del libro, che di recente ha raccontato di essere fuggito dalla tentazione della lotta armata proprio grazie ai libri e allo studio. Il romanzo nel romanzo di Aranxta, altra figlia di Joxian che, a seguito di un ictus, finisce su una sedia a rotelle e comunica solo attraverso un’iPad. Quello della sua amica Nerea, figlia del Txato, ragazza fragile e scapestrata che reagisce alla notizia dell’assassinio del padre facendo sesso con un compagno di università. Suo fratello è invece un uomo fin troppo prudente e assennato. Cinquant’anni, medico, introverso, di bella presenza, molto legato alla madre, sempre preoccupato per le sorti della propria famiglia, Xabier ci ricorda un po’ il Gary Lambert de Le Correzioni. Tutto il romanzo di Aramburu, per il disamore, le ripetute deviazioni dal giusto dei figli di Jaxo e Txato, e per le complicate relazioni familiari affrontate, scorre sulla falsariga del capolavoro di Jonathan Franzen.

Joxe Mari, intanto, in carcere, medita sui fallimenti della lotta armata, sull’odio inconcludente che ha lacerato la comunità dove ha vissuto, e sugli anni migliori della propria vita che non gli saranno restituiti. Forse per lui è giunto il momento di rasserenare gli animi e di ricucire quello strappo doloroso con la famiglia di Txato. Pagine indimenticabili di passioni intense, di sentimenti sconfitti, di grande letteratura.

Patria è il grande romanzo spagnolo. Ma quella raccontata da Aramburu non è la Spagna delle corride o delle partite di calcio del Real Madrid, e neppure il paese avanguardista e trasgressivo che ritroviamo nella cinematografia di Almodovar. E’ una nazione lontana dagli stereotipi, dal folklore, dall’immagine gaudente e turistica delle ramblas di Barcellona. Aramburu ci conduce nelle province del profondo Nord, a ridosso della Francia, per farci conoscere un pezzo di storia recente della comunità dove lui è vissuto, una storia  che per certi versi evoca i nostri anni di piombo, l’Italia violentata dal terrorismo delle Brigate Rosse e lacerata dagli scontri di piazza.

Angelo Cennamo

 

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