
“Né l’una né l’altra delle sorelle Grimes avrebbe avuto una vita felice, e a ripensarci si aveva sempre l’impressione che i guai fossero cominciati con il divorzio dei loro genitori”.
La migliore sinossi di Easter Parade – romanzo pubblicato nel 1976 e uscito in Italia più di trent’anni dopo con minimum fax – è nel suo incipit. Sarah e Emily Grimes crescono tra New York e il New Jersey, lontano dal padre, giornalista di poco talento costretto a correggere bozze in un giornale reazionario “Che mestiere fa vostro padre? Scrive titoli. Scrive titoli sul Sun, rispondevano”, e con una madre che le incoraggia a chiamarla “Pookie”, donna fisicamente minuta, dai nervi fragili, sola, ossessionata dall’idea di finezza, che affoga nell’alcol i dispiaceri di una vita complicata, sempre in salita. Le due sorelle hanno caratteri diversi; una è più sorridente e tradizionale, l’altra più introversa e indipendente. Sono attese da destini opposti ma dalla stessa infelicità, direbbe con parole sue Lev Tolstoj. Sarah sposa il rampollo di una famiglia di immigrati inglesi decaduta, Tony Wilson, bello come Laurence Olivier. Si trasferisce, sarebbe meglio dire si rinchiude, nella sua tenuta di campagna e con lui farà tre figli. La più giovane, Emily, è invece una donna in carriera, emancipata, single, che da giovanissima perde la verginità con un soldato appena conosciuto, e che da quel momento passa da una relazione all’altra senza mai accasarsi. L’ultimo dei suoi amanti è Howard, il suo capoufficio, uomo di mezza età, facoltoso e divorziato, che dopo pochi mesi di convivenza decide però di tornare dalla sua ex moglie. Alla soglia dei cinquant’anni, Emily si ritroverà sola, senza lavoro, e inizierà a soffrire di gravi disturbi mentali. La storia delle due sorelle è una sequenza di delusioni, aspettative tradite, anche di gesti violenti, specialmente quelli subiti da Sarah, la più sfortunata delle sorelle Grimes. Pensava di aver trovato in Tony il grande amore della sua vita, ma presto si rende conto di aver sposato un uomo insensibile, rozzo e manesco. Le storie di Richard Yates non hanno mai un lieto fine, sono trame disturbanti che contraddicono l’immagine perfetta e gaudente della borghesia americana di successo. I protagonisti sono vittime di destini crudeli, uomini e donne sconfitti, spesso spinti dalla miseria e dalla mediocrità nel tunnel dell’alcolismo o della follia. Easter Parade – il titolo evoca il bacio tra Tommy e Sarah immortalato in una foto scattata durante una sfilata di Pasqua – non fa eccezione. Yates, che è maestro di realismo e di narrazioni drammatiche, a volte ci appare addirittura spietato verso la debolezza dei suoi personaggi: quando Sarah le confida i maltrattamenti, le molestie subite dal marito, e le chiede un consiglio sulla possibilità che divorzi da lui e la raggiunga a New York, Emily si mostra sì addolorata, ma nello stesso tempo teme di perdere la propria indipendenza e di sentirsi costretta a modificare il proprio stile di vita. Yates, che conosce a fondo la miseria dell’animo umano, la solitudine, avendo vissuto sulla propria pelle tante delusioni, la frustrazione per l’insuccesso, oltre che la dipendenza dall’alcol e dai farmaci, con questo romanzo riesce perfino a superarsi, arrivando, da uomo, a raccontare un dedalo di relazioni femminili credibili. Ho letto da qualche parte che Easter Parade sarebbe stato paragonato a Piccole Donne e trattato come un libro destinato a un pubblico di sole donne. Non ho mai creduto a simili classificazioni: L’amica geniale è forse un libro precluso al lettorato maschile? Il romanzo delle sorelle Grimes è meravigliosamente malinconico, di grande attualità e destinato a chiunque abbia voglia di confrontarsi con un gigante della letteratura come Yates. Una riflessione sull’amore, la solitudine, il significato della famiglia, il rispetto per le donne.
Angelo Cennamo