
Gli Anni di piombo, gli attentati, i sequestri, le stragi terroristiche di matrice rossa e nera, quel clima da guerra civile che per oltre un decennio, da piazza Fontana in avanti, ha seminato morte, misteri e paura nell’Italia postsessantottina, sono ancora materiale prezioso per romanzieri, saggisti, sceneggiatori, cineasti e autori televisivi. Avevo letto tempo fa un libro di una giovane scrittrice americana, Rachel Kushner, allieva di Jonathan Franzen, intitolato Il Lanciafiamme che raccontava con molta verosimiglianza una storia ambientata in Italia, proprio in quel periodo storico. Un libro certamente interessante, ma nulla di paragonabile a La seconda vita di Annibale Canessa di Roberto Perrone, romanzo di oltre 400 pagine che ho divorato in poco più di due giorni.
Dalle colonne del Corriere della sera, Perrone, in tanti anni di onesta carriera, ha raccontato di tutto, dallo sport ai viaggi, ma non si è mai occupato, che io ricordi, di morti ammazzati. Sono arrivato al suo romanzo dopo aver letto un’accorata recensione, probabilmente su La Lettura, nella quale Antonio D’Orrico, prima ancora di elencare e argomentare i pregi del libro che aveva da poco finito di leggere, metteva in guardia i potenziali lettori dalle possibili diffidenze e/o sospetti legati al pedigree del suo autore, non esattamente in linea con i parametri del perfetto giallista. Il pregiudizio, dunque. Lo stesso che ancora oggi induce alcuni ambienti della nostra editoria a bandire quasi i romanzi di genere dalla cosiddetta letteratura pura, quella da premio Strega.
La seconda vita di Annibale Canessa racconta la storia di un ex colonnello dei Carabinieri, simbolo della lotta al terrorismo, che in un drammatico giorno del 1984 lascia l’Arma per ritirarsi nel borgo di San Fruttuoso, sulla costa ligure, dove, tra una nuotata e l’altra, si dedica alla gestione di un piccolo ristorante con una vecchia zia. Quando però a Milano suo fratello Napoleone viene ucciso in compagnia di Pino Petri, il killer più spietato delle Brigate Rosse, arrestato proprio da Canessa dopo tre anni di latitanza in Spagna, arriva per lui il momento di ritornare sulla scena per riannodare i fili di una vicenda rimasta irrisolta trent’anni prima. Canessa oggi è un uomo attempato, ma ancora vigoroso e carico di motivazioni. Per la sua indagine parallela richiama “in servizio” il fedele maresciallo Ivan Repetto, un tempo suo braccio destro la sua ombra, la sua coscienza, e recluta un’altra vecchia conoscenza che negli anni Settanta bazzicava negli ambienti malavitosi milanesi: Piercarlo Rossi, detto il Vampa. A completare il cast dell’ex colonnello, Carla Trovati, la giovane giornalista del Corriere della sera che dell’affascinante Canessa finirà per innamorarsi. La storia raccontata da Perrone è intricata ed intrigante, popolata di personaggi ben delineati, assolutamente credibili, veri: magistrati corrotti, killer assoldati da misteriosi mandanti, giornalisti senza scrupoli, ex terroristi, e un simpatico prefetto dandy, funzionario dei Servizi segreti, che indossa abiti firmati e si trastulla con escort di alto bordo. Le giornate di Canessa scorrono veloci come le immagini del miglior film d’azione. Inseguimenti, sparatorie, confessioni, sesso, e molta tattica: Carrarmato Canessa è una specie di James Bond italiano che non delude per intelligenza, coraggio e umanità. Con questo romanzo, pubblicato da Rizzoli nel 2017, Perrone ha esordito nello straordinario e variegato mondo del noir italiano, e lo ha fatto nel migliore dei modi, con un libro avvincente, ben scritto e carico di suspense. Cosa aggiungere: non vedo l’ora di leggere il secondo capitolo di Annibale Canessa – L’estate degli inganni – che, viste le premesse, si preannuncia davvero molto interessante.
Angelo Cennamo