
“Racconta il tuo villaggio e racconterai il mondo”, diceva Tolstoj. Il villaggio di Andrea Vitali è Bellano, sulla riva lecchese del lago di Como. In questo microcosmo silenzioso, fuori dal tempo, già scenario inconsueto e affascinante delle trame di un altro autore lombardo troppo spesso dimenticato: Piero Chiara, Vitali ha esercitato la professione di medico condotto e ambientato tutti i suoi romanzi, all’incirca una cinquantina. Libri divertenti, frizzanti, vicende collocate tra gli anni Trenta e Sessanta dello scorso secolo, di una levità che ricorda quelle di Giovannino Guareschi, l’inventore di Peppone e Don Camillo, anche lui come Chiara finito nel dimenticatoio, colpevole forse di aver raccontato storie popolari e comprensibili a tutti. Da Guareschi, Vitali ha ereditato la schiettezza di una scrittura piana, colloquiale, senza fronzoli, il gusto per lo sberleffo e la passione per le buone tradizioni. La provincia è la vera risorsa della narrativa italiana, corpo e sangue di una narrazione unica, che si fa apprezzare all’estero per intensità e veracità. La Bellano di Vitali è come la Vigata di Camilleri, i carruggi genovesi di Morchio e i quartieri napoletani di Elena Ferrante, scrittrice snobbata in patria ma celebrata come un Nobel nel resto d’Europa e in America.
Viva più che mai esce nel 2016 e raccoglie i consensi di pubblico e di critica di altri grandi successi di Vitali – La figlia del podestà, Olive comprese, L’ombra di Marinetti, La modista. I protagonisti del libro sono una coppia di amici strampalati, due personaggi pittoreschi, folcloristici, tipici delle storie di Vitali: Ernesto Livera, detto il Dubbio, ragazzo goffo ed eternamente indeciso che usa la sua barchetta Canterina per contrabbandare sigarette, e Biagio Riffa, un latin lover squattrinato che con un furgone scassato se ne va in giro per mercati a vendere “le migliori scarpe di cartone di tutta la Lombardia”. Una notte d’estate, il Dubbio con la sua barchetta urta il cadavere di una donna. Non sa cosa fare, del resto il suo soprannome la dice lunga. Lo traina a riva, ma non ha il coraggio di chiamare i carabinieri per via di alcuni precedenti con la giustizia. A chi raccontarlo, allora, se non a lui, al dottor Lonati? Lonati è un altro protagonista delle trame di Vitali, personaggio nel quale lo scrittore evidentemente ritrova se stesso, il medico condotto di Bellano, ma anche un perfetto indagatore, anzi indaga-autore. Per non esporsi, Lonati racconta di aver saputo del cadavere da un anonimo, al telefono. L’indagine si rivela subito complicata, per non dire farsesca: il cadavere che il Dubbio sostiene di aver avvistato e trainato con la barca, non si trova più. Il giovane contrabbandiere sta dicendo la verità o si tratta di una delle sue solite allucinazioni? Non c’erano prove, denunce, segnalazioni ancorché anonime, non c’era un cazzo di niente che confermasse ciò che il Dubbio aveva detto. La storia raccontata da Vitali è lunga e divertente, ricca di equivoci secondo la migliore tradizione della commedia dell’arte. Il Dubbio, il Riffa, il maresciallo dei carabinieri Pezzati, il dottor Lovati, e la misteriosa Valeria. Un cast degno di un film di Vittorio De Sica o di Fellini, un intrigo appassionante e ben scritto. Vitali conosce l’antica arte del racconto, da sapiente artigiano della parola, sa intrattenere i suoi numerosi lettori con piccoli ma efficaci espedienti narrativi: paragrafi brevissimi che inducono a divorare la storia con voracità, chiusure e incipit perfettamente allineati. Il piccolo mondo antico di Andrea Vitali è il luogo del buon umore, la dimensione onirica di una giovinezza eterna e spensierata, quella dei nostri nonni e dei nostri padri, i poveri ma belli di un’Italia che non esiste più.
Angelo Cennamo