
Romanzo d’esordio di Alessandro Robecchi, giornalista, autore satirico e da qualche anno tra i più apprezzati noiristi italiani. Carlo Monterossi, il protagonista delle sue storie, è una sorta di alter ego di Robecchi: milanese, autore televisivo – suo malgrado – di un programma trash con una fortissima penetrazione tra le fasce basse, l’impareggiabile Fabbrica Della Merda. Crazy love – questo il nome del programma – è condotto dall’esuberante Flora De Pisis, la cui descrizione ricalca molto la figura di una nota conduttrice della domenica pomeriggio. Flora sarebbe disposta a qualunque compromesso pur di guadagnare un punto di share, e in studio chiede di essere illuminata da un faro abbagliante antirughe che la ringiovanisce di qualche decennio “con quelle luci, persino Picasso, sul letto di morte avrebbe la pelle di un neonato“. Nel cast di Robecchi figurano altri personaggi che ritroveremo anche nei libri successivi: Dove sei stanotte, Di rabbia e di vento, Torto marcio e Follia Maggiore, a cominciare da Katia Sironi, l’agente cinica e rampante di Monterossi “un poderoso monumento di carne umana avvolto da una specie di tunica nera, collana, orecchini vistosi, trucco appena un po’ più pesante del lecito, sigaretta accesa, voce roca, sguardo intelligente“; i poliziotti Olga Senesi, Gregori e Ghezzi, il sostituto “di velluto” Ghioni, e l’inseparabile Oscar Falcone “traffichino, trovarobe, giornalista d’inchiesta, topo d’archivi, avventuriero, precario della conoscenza, infiltrato speciale, esperto di periferie, devianze, emarginazione, bevitore di aperitivi, cascamorto ecc. ecc.”.
In questo primo capitolo della serie – pubblicato come sempre da Sellerio, nel 2014 – uno sconosciuto si presenta a casa di Carlo Monterossi e tenta di ammazzarlo. Carlo riesce a mettersi in salvo, ma d’ora in avanti si ritroverà invischiato in una vicenda ingarbugliatissima sulla quale indagherà di nascosto, parallelamente alla polizia. Fuori Milano, c’è un terreno occupato da un campo rom. Il proprietario per riottenerne il possesso incarica un tizio, come dire, dai modi spicci che però fallisce nel suo intento ed ora minaccia i mandanti di spifferare tutto. Il caso si complica perché nel giro criminale finiscono altri killer, due zingari piuttosto vendicativi, e avvocati disposti a qualunque nefandezza. Più che un giallo, il libro di Robecchi è a metà strada tra il romanzo sociale e una commedia noir nella quale le vittime sono la comunità rom e il proletariato delle periferie, i carnefici estremisti di destra, professionisti senza scrupoli, la tivù commerciale, che con i suoi programmi spazzatura rincretinisce il paese distraendolo da questioni ben più importanti. Insomma, il tipico canovaccio di Robecchi, scrittore che non ha mai fatto mistero del proprio orientamento politico e che non disdegna, tra una risata e l’altra, dare un senso etico-pedagogico alle sue fiction.
Questa non è una canzone d’amore non sarà forse il miglior romanzo della serie di Monterossi – la perfezione di stile e di contenuti maturerà qualche anno più tardi con Torto marcio – la trama a tratti è confusa, seguire il filo della narrazione in ogni suo passaggio può risultare difficile, ma la qualità della scrittura – ottima, perfettamente aderente alla modernità – e l’umorismo in modalità Joe Lansdale, con battute fulminanti in ogni frase, fanno di questo libro una piacevolissima lettura.
Angelo Cennamo