LA COSTOLA DI ADAMO – Antonio Manzini

 

La costola di Adamo - Manzini

 

Leggere la saga di Rocco Schiavone seguendo più o meno l’ordine cronologico inverso, e sfatare il falso tabù della rigorosa sequenza temporale dei romanzi seriali. Questo è stato il mio approccio con Antonio Manzini, scrittore tra i più interessanti della scuderia Sellerio e di riflesso del panorama noir italiano.

La costola d’Adamo è il secondo capitolo del grande romanzo di Schiavone, un solo libro a puntate che Manzini sta cucendo addosso al celebre vicequestore per raccontarne la vita, i vizi, le disavventure e le rotture di coglioni. Schiavone è un personaggio reale, così vero che sembra uscire dalla pagina e guardarti negli occhi. Imperfetto come lo siamo tutti, con il suo loden e le nove paia di Clarks distrutte in sei mesi nella neve di Aosta, città estranea, lontana, troppo inospitale per un trasteverino come lui. Schiavone con i suoi amori leggeri e passeggeri perché lei è e resterà solo Marina, la moglie morta in quel tragico 7-7-2007 – la stessa data qualche anno più tardi diventerà il titolo di un altro romanzo di Manzini, forse il migliore della serie. Schiavone che si fa le canne di nascosto perché lo aiutano a rilassarsi e a concentrarsi, dice lui. Schiavone che deve sbrigare le proprie faccende coadiuvato da una banda di matti, dai cretini D’Intino e Daruta, gli Stanlio e Ollio della polizia, all’agente Pierron, il giovane valdostano che tra un appostamento e l’altro se la spassa con la collega Rispoli. Non sta bene, Italo, gli dice Rocco: “Caterina l’avevo puntata io”.

Quanto alla trama, il vicequestore questa volta dovrà vedersela con lo strano caso di una donna trovata impiccata a un lampadario. Un suicidio, si direbbe. Ma qualcosa non quadra. L’indagine sarà tutta giocata sui dettagli del giallo classico: il guanto, la luce spenta, l’ora in cui la domestica entra in casa, i segreti della vita matrimoniale, gli indizi dell’autopsia. E coinvolgerà tra gli altri il figliastro della domestica della donna impiccata, un ragazzo di origini egiziane, ribelle, scansafatiche e poco integrato. Ma proprio quando la vicenda sembra ormai conclusa e cominciano a scorrere i titoli di coda, un’intuizione di Schiavone assesta il più teatrale dei colpi di scena e riscrive il finale. Manzini è come sempre ironico, malinconico, profondo e leggero allo stesso tempo. Una certezza della nostra letteratura contemporanea, noir e oltre il noir.

Angelo Cennamo

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