
Qualcuno ha detto che le storie raccontate nei libri sono già tutte scritte e che i romanzieri non fanno altro che cancellare il superfluo, togliere il contorno, eliminare le parole inutili. Un personaggio come Vincenzo Malinconico, avvocato di insuccesso all’anticamera del reddito di cittadinanza, che compra i mobili all’Ikea, divide il fitto dello studio “Diciamo Loft” con un ragioniere commercialista, e che non ha più di quattro o cinque cause segnate sull’agenda, era necessario alla nostra letteratura, prima o poi qualcuno lo avrebbe per forza scovato, ne avrebbe raccontato la vita, gli stenti, le peripezie. Uso il verbo scovare perché Diego De Silva, avvocato, cinquantenne, napoletano trapiantato a Salerno – sembra il mio identikit – Malinconico non lo ha mica inventato: è andato a stanarlo in mezzo a frotte di avvocati che affollano i tribunali di questo paese, soprattutto da Roma in giù, dandogli un corpo e una voce.
Divorziare con stile è il terzo romanzo che vede come protagonista questo simpatico disadattato dei tempi moderni, patrocinatore delle cause perse. Il canovaccio di De Silva è robusto e succulento: l’ex moglie, l’attuale fidanzata sposata con un altro uomo dunque l’amante perfetta, e due figli con i quali l’avvocato non si è mai sentito all’altezza di essere padre, perché lui, Vincenzo, all’amore e ai sentimenti non è portato, gli mettono tensione, quando ama non è mai rilassato. Malinconico, avrebbe detto un fine umorista come Marcello Marchesi, che a De Silva somiglia moltissimo, è un Dottor Divago: le sue storie sono iperbolici flussi di coscienza, infinite peregrinazioni verbali e mentali su qualunque argomento, dai tassisti ai social, dai colleghi di lavoro agli ex compagni di scuola. Malinconico si perde in mille pensieri, le sue riflessioni filosofiche ci ricordano a tratti quelle del Bascombe di Richard Ford o di Herzog di Saul Bellow, ne sono quantomeno la declinazione comico-partenopea. Malinconico apre vagonate di incidentali e si dimentica di chiuderle, entra ed esce dalle sue trame bizzarre intrecciando discorsi talvolta inconciliabili, ma è la cifra del sua personalità bipolare, tripolare, quadripolare. Veronica Starace Tarallo, donna affascinante e moglie del celebre avvocato Ugo Maria, si rivolge a lui, udite udite, al più goffo degli azzeccagarbugli vesuviani, per chiedere la separazione al marito. La vicenda del divorzio, esilarante e ricca di colpi di scena, nella quale Malinconico riesce a trovare anche il modo di riscattarsi come professionsta, si mescola ad altre trame solo apparentemente marginali: la causa che Malinconico deve perorare dinanzi al giudice di pace Pestalocchi – La Merda – per risarcire lo zio Mik; la sospetta coabitazione di suo figlio Alfredo con il compagno di università; il matrimonio annunciato a tutti tranne che a lui dell’altra figlia Alagia. Momenti di tenerezza che chiudono una commedia brillante, dal ritmo incalzante e sincopato, scritta magnificamente da un De Silva in stato di grazia. Ci vuole talento per essere leggeri.
Angelo Cennamo