ON WRITING – Stephen King

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Non mi chiedono mai del linguaggio, dice Stephen King parlando di sé in questo delizioso pamphlet autobiografico che somiglia a un vero romanzo. Dove comincia una vita?, si chiede Sandra Petrignani nell’incipit del suo libro su Natalia Ginzburg. Quella di King comincia in prima elementare, quando per una fastidiosa malattia all’orecchio il piccolo Stevie è costretto a saltare l’anno scolastico. Mesi e mesi di detenzione forzata durante i quali  il bambino prodigio comincia a buttare giù i primi racconti – fin da subito storie fantastiche – pagati con pizzicotti sulle guance e le mance dei parenti. Ma quella frase iniziale – non mi chiedono mai del linguaggio – la dice lunga sul personaggio, sulla frustrazione forse, di chi, nonostante abbia venduto decine di milioni di libri in ogni angolo della terra, continua a non essere preso troppo sul serio dalla critica e da una fetta di lettori snob. Hai voglia di dire che il linguaggio non deve presentarsi sempre in giacca e cravatta e che l’obiettivo della narrativa non è la correttezza grammaticale, ma mettere a proprio agio il pubblico e poi raccontargli una storia: lo steccato che divide la letteratura mainstream da quella di genere resta ancora alto, e non solo in Italia. Né serve citare gli illustri precedenti di Dickens, Twain o Simenon, tre dei numerosi abbagli dei palati fini, per invertire la sciocca credenza del disvalore di certe narrazioni.

Ma On Writing non è affatto un libro polemico, anzi. I numerosi aneddoti che l’autore racconta nelle duecentosettantanove pagine che lo compongono sono un utile compendio non solo per chi ha l’ambizione di avviarsi al difficile mestiere di scrittore, ma anche per un semplice lettore.

Scrivi con la porta chiusa, correggi con la porta aperta”: notate l’effetto di questa frase, la perfezione anche stilistica. Una volta scritta la prima stesura, il racconto si apre all’esterno, al vaglio di chi legge. Non sarebbe male, aggiunge King, immaginare un lettore ideale, un amico, un parente che stia lì a giudicare quello che scriviamo. Mai abusare degli avverbi o della forma passiva. Mi raccomando, eliminate le parole superflue. La scrivania è meglio tenerla nell’angolo della stanza, non al centro: la vita non dev’essere di sostegno all’arte, ma viceversa. Piccoli suggerimenti, una sorta di cassetta degli attrezzi, nulla di speciale, anche perché il solo modo per imparare a scrivere è quello di leggere e scrivere molto, non esistono scorciatoie. Quanto all’aspetto strettamente biografico, quella di King è davvero una vita speciale, ricca di eventi, non tutti esaltanti: l’alcol, la droga, un gravissimo incidente d’auto. Figlio di ragazza madre costretta a fare mille mestieri per crescere e mantenere agli studi i suoi due figli, King, come dicevo, fin da ragazzo ha manifestato una spiccata propensione alla creazione di storie. Prima il giornalino della scuola, poi i romanzi scritti nel retrobottega di una lavanderia, è stato questo il suo primo lavoro nonostante la laurea e un’abilitazione all’insegnamento. Interessante il passaggio nel quale King racconta il momento della svolta. Lui e sua moglie sono in macchina senza un becco di un quattrino. Lei ha il figlio in braccio che vomita. E’ malato. Ha bisogno di un farmaco costoso. Rientrando a casa, King apre la cassetta postale e ci trova dentro la lettera del suo editore che gli annuncia di aver acquistato Carrie, il romanzo d’esordio, il libro che gli frutterà oltre quattrocentomila dollari. Il resto è storia nota.

Angelo Cennamo

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