IL VELO NERO – Rick Moody

IL VELO NERO - Rick Moody

Comincio dalla fine. Se non vi è ancora capitato di leggere i libri di Rick Moody, fatelo, e partite da questo. Per anni abbiamo importato poca narrativa dagli Stati Uniti – Americana di Don DeLillo, tanto per citare un esempio, arrivò in Italia con trent’anni di ritardo e solo grazie a un piccolo editore napoletano: Tullio Pironti. Per tradurre in italiano Infinite Jest, Sandro Veronesi mise su una casa editrice a proprie spese. Oggi siamo sommersi di romanzi americani di ogni genere. Non sono tutti dei capolavori, e orientarsi in questo mare magnum di titoli e recensioni accattivanti, in molti casi si tratta di veri e propri spot pubblicitari, non è semplice. Americana di Luca Briasco è un manuale dettagliato, istruttivo, illuminante, che vi potrà tornare utile almeno per una prima selezione di autori, alla quale però è sfuggita, chissà perché, Rick Moody, tornato di recente nelle librerie italiane con La nave di Teseo.

Il velo nero è un memoir che si legge come un romanzo. Racconta la storia di un ragazzo annichilito dall’alcol, dalla droga, e dalla depressione. Questo ragazzo è Rick Moody “Io stesso sono l’argomento di questo libro”. Un libro scritto come la sua vita “a ritmo di spasmi, in un modo più vicino all’epilessia che alla narrazione”. Moody si mette a nudo, dà in pasto al lettore la propria intimità, senza filtri, senza pudore forse. Leggendo mi sono venuti in mente altri due romanzi che seguono lo stesso tracciato e che ho amato molto: Il male oscuro di Giuseppe Berto e Il re pallido di David Foster Wallace, scrittore al quale Moody è vicino per stile – massimalismo argomentativo – e intensità. Come Berto e Wallace, Moody elabora il dolore e lo trasforma in letteratura, alta letteratura. La sua storia personale si intreccia con quella di un antenato, che scopriamo essere stato il protagonista di un racconto di Nathaniel Hawthorne intitolato “Il velo nero del pastore”. Dopo aver ucciso involontariamente un amico, il trisavolo di Moody se ne andò in giro per il resto della sua vita con il viso coperto da un velo che non tolse neppure in punto di morte. Il velo della vergogna diventa nel memoir del giovane Rick il manto triste dell’autodistruzione, il buio nel quale lo scrittore newyorchese viene risucchiato con forza. Cos’è questa dannata malinconia? Si chiede Moody nel lungo flusso di incoscienza, audace, sincero e denso di umanità che forma il libro “La malinconia non si riferisce a nulla. La malinconia ha uno stile o un modo ma nessun oggetto. La malinconia è un modo di pensare, un modo di pensare al pensiero, e ha bisogno di consumare la propria vittima“. Sono pagine strazianti, crude, poetiche, quelle che raccontano il ricovero nell’ospedale psichiatrico, ultima tappa di un girone dantesco senza fine  “Cosa avevo imparato? Avevo imparato che il mio passato non esisteva se non nelle interpretazioni del passato“. Se coltivate l’ambizione di scrivere, leggete Rick Moody e vedrete che vi passerà presto.

Angelo Cennamo

Standard

Lascia un commento