
“La storia di una famiglia somiglia più a una cartina topografica che a un romanzo, e una biografia è la somma di tutte le ere geologiche che hai attraversato” scrive Claudia Durastanti a pagina 63 del suo ultimo libro La straniera – edito da La nave di Teseo – quest’anno nella cinquina finale del premio Strega. La Durastanti ne è doppiamente protagonista; la cartina topografica del suo memoir comprende pezzi del Sud Italia, la Val d’Agri, New York, la città dov’è nata appena 35 anni fa – a 35 anni Claudia Durastanti scrive come Alice Munro – il New Jersey, Roma, Londra, la metropoli che l’ha adottata al tempo della Brexit. La Straniera è una storia di viaggi e di migrazioni. Ma anche una storia di parole, le parole non udite dai genitori di Claudia, entrambi sordi; le parole scritte nei diari e nei libri; le parole tradotte dall’americano al dialetto lucano e dal dialetto all’italiano; le parole che danno voce ai silenzi inquieti di una madre e di un padre che raccontano di essersi conosciuti in situazioni completamente diverse: lei trattiene lui dal suicidio o lui che salva lei da una rissa? Le bugie, le mezze verità, le fughe e poi ritorni, la rabbia, la povertà che non è solo condizione sociale ma anche una malattia, contagiosa, scritta nei geni, un cancro dal quale non si guarisce mai fino in fondo. Quella di Claudia e di suo fratello è complicata da una scarsa predisposizione alla arrendevolezza e alle rinunce “Non avevamo il primo requisito necessario per una buona povertà: l’umiltà e l’assenza di pretese”. Tutto questo e molto altro disegnano il perimetro di una vita sfregiata e senza radici, fuori dall’ordinario finanche nella bellezza del suo racconto. Claudia sballottata tra Brooklyn e la Basilicata, lei, “la figlia della muta”, lei con mamma e papà divorziati in una terra che fatica ad emanciparsi nonostante il petrolio pompato dalle multinazionali. Lo stato sociale. Il denaro delle borse di studio consentono a Claudia di riposizionarsi nella normalità, di recuperare i metri perduti e rimanere aggrappata ai sogni. La straniera è anche il titolo di un romanzo di un’autrice polacca del Novecento, Maria Kuncewiczowa, la cui protagonista è esule russa in Polonia ed esule polacca in Europa. Il termine di paragone non può che essere il capolavoro di Albert Camus, che in Inghilterra viene intitolato “The outsider”, parola che forse si addice meglio alla condizione del suo personaggio cardine. “Siamo tutti tremendamente, tremendamente soli” scrive David Foster Wallace, come Claudia Durastanti alieno di una letteratura che spalanca gli occhi sul mondo lasciandoci senza fiato.
Angelo Cennamo