
Se non avete letto nulla di James Baldwin vi manca un pezzo della cultura americana, quella legata al movimentismo dei diritti civili, ai temi del razzismo e dell’omosessualità, al degrado delle periferie, al blues. Mi sono avvicinato a quest’autore grazie a Fandango, l’editore italiano che lo sta ripubblicando dopo anni di inspiegabile oblio. Se la strada potesse parlare è uscito nel 1974, ma è un romanzo attualissimo per gli argomenti trattati, per stile, per la immutata freschezza di una scrittura scarna e profonda al tempo stesso. La trama è semplice: due giovani di colore di Harlem aspettano un bambino. Lui – Fonny – è un aspirante scultore. Lei – Tish – fa la commessa in una profumeria. Il guaio è che Fonny è stato arrestato con l’accusa ingiusta di aver stuprato una ragazza portoricana. La storia, raccontata in prima persona da Tish, si muove su due piani temporali: l’infanzia e l’adolescenza vissute dai due protagonisti nei bassifondi di New York, e il presente della coppia, con Fonny che oggi deve affrontare un processo complicato e forse dall’esito già segnato. Intorno ai due ragazzi, un cast di personaggi coprotagonisti, perlopiù familiari e amici. È un’America votata al sacrificio, quella raccontata da Baldwin. Rassegnata ad una condizione irreversibile, povera, maltrattata, abusata, sempre in affanno. Qual è la colpa di Fonny? La stessa del suo amico Daniel, anche lui arrestato per sbaglio “Non era il povero negro di nessuno. E questo è un crimine in questo fottuto libero paese. Devi essere un povero negro: ed è stato quello che i poliziotti hanno deciso quando Fonny si è trasferito in centro”. Baldwin mette in scena un’umanità sconfitta, senza scampo. La portoricana, stuprata chissà da chi, perde il bambino che porta in grembo mentre Tish dà alla luce il suo. L’incontro tra lei e la madre di Tish, che la raggiunge in Porto Rico per provare a ribaltare le sorti del processo, è uno dei momenti salienti del libro, un duello tra due vittime, fatto di parole e di silenzi. La New York di Baldwin è una metropoli spietata, cinica, ingiusta con i deboli. Non è la stessa città di Paul Auster né di Donna Tartt. Leggendo il romanzo ho pensato ai Malavoglia di Verga, feccia di una società che li rifiuta e li condanna a prescindere. James Baldwin è troppo bravo per essere dimenticato, fa bene la Fandango a riportarlo in in libreria.
Angelo Cennamo