
Mark Leyner se la passa benone. Ha appena pubblicato un best-seller, sua moglie si è beccata trentacinquemila dollari per un tetto che le è crollato sulla testa mentre guardava gli Oscar, e ha un cane di nome Carmella. Ho scoperto l’esistenza di Leyner rileggendo una vecchia intervista a David Foster Wallace. Wallace lo indicava tra gli autori più innovativi della sua generazione, insieme a Rick Moody, George Saunders e William T. Vollmann. Fernando Pivano sulla quarta di copertina scrive addirittura che è tra i maggiori scrittori degli anni Novanta. Resta il fatto che in Italia, di Leyner, si parla pochissimo, anzi, non se ne parla affatto. Il suo romanzo più conosciuto è “Mio cugino, il mio gastroenterologo”, libro introvabile. Non è stato semplice neppure procurarsi questo “Ehi tu, baby!”, altra opera folle, senza trama, inclassificabile, dirompente, scritta in prima persona – la voce narrante è lo stesso Leyner – e densa di divagazioni surreali, aneddoti, riflessioni: un vero delirio che ci riporta, questa almeno è stata la mia impressione leggendolo, a quella serie cinematografica degli anni Ottanta che ebbe come protagonista Leslie Nielsen: Una pallottola spuntata; stesso umorismo demenziale, stessa genialità. “Ehi tu, baby!” uscì negli Stati Uniti nel 1992, sette anni prima che Wallace pubblicasse “Brevi interviste con uomini schifosi”, la raccolta di racconti seguita al grande successo di “Infinite Jest” che con questo libro sembra formare un dittico impareggiabile per fine avanguardismo e comicità. Il dialogo, a metà romanzo, tra l’onanista compulsivo Todd e il dott. Williams è una via di mezzo tra la seduta psicanalitica di Alexander Portnoy di Philip Roth e la vertiginosa repellenza di certe conversazioni contenute proprio nei racconti di Wallace. Cos’altro dire: leggete Leyner e abbandonatevi al suo flusso di parole esilaranti.
Angelo Cennamo