I CIELI DI PHILADELPHIA – Liz Moore

“Sui binari di Gurney Street c’è un cadavere. Donna, età imprecisata, probabile overdose, dice il centralino.”  
Inizia così “I cieli di Philadelphia”, il nuovo romanzo di Liz Moore, giovane scrittrice e musicista americana che una decina di anni fa si era fatta conoscere con “Il peso”, vincitore del Rome Prize, edito in Italia da Neri Pozza. La prima sensazione è che “I cieli di Philadelphia” sia un thriller, in realtà la vicenda criminale fa solo da sfondo al romanzo, che si sviluppa invece come una storia familiare: dolorosa, cupa, con un colpo di scena a cento pagine dalla fine che rianima una trama a volte scontata e noiosa. Siamo a Kensington, uno dei quartieri più recenti dell’antica città di Philadelphia, abitato perlopiù da famiglie di origine irlandese, portoricani, afroamericani e asiatici. Qui vive e lavora Mickey Fitzpatrick, agente di polizia trentenne, single, madre di Thomas e sorella di Kacey, prostituta tossicodipendente, scomparsa proprio nelle settimane in cui a Kensington si aggira un serial killer di prostitute. La Moore racconta la storia alternando il passato “Allora”, al presente “Adesso”. Mickey e Kacey hanno vissuto un’infanzia difficile, sono state cresciute dalla nonna materna dopo la morte della madre in un incidente d’auto e l’allontanamento del padre. Oggi Mickey pattuglia Kensington alla ricerca di Kacey. Si fa aiutare da un ex partner e suo istruttore, Truman, convalescente per una misteriosa aggressione. Tra i due c’è del tenero – altro cliché. L’assenza della coprotagonista Kecey per oltre due terzi del racconto è la parte più interessante del libro. La toponomastica di Philadelphia, la seconda. “I cieli di Philadelphia” è una storia di rancori mai sopiti, di abbandoni, di tormenti compulsivi. La lunga scia di malasorte che accompagna la vita di Mickey, nel privato come nella professione, disturba, non giova alla credibilità della trama, la appesantisce inutilmente. Lo stesso vale per Kacey, il cui disagio esistenziale non brilla per originalità. Le sorelle Fitzpatrick non generano empatia, solo commiserazione. Troppo poco per un bel romanzo.

Angelo Cennamo

Standard

Lascia un commento