Ci sono scene di libri che non si dimenticano: le domande di Holden Caulfield sulle anatre di Central Park; il suicidio nel forno a microonde del filmaker Incandenza in “Infinite jest”; il Mickey Sabbath di Philip Roth che si fa sorprendere dall’amico Norman, mentre nella vasca da bagno prova a masturbarsi con la foto di sua figlia. L’incipit di “Corri, Coniglio” con Harry Angstrom che si unisce a sei ragazzini che giocano a basket intorno a un palo della luce, è una di queste. Che strano nome, Coniglio. Lo chiamano così per la larghezza del viso bianco, il pallore delle iridi celesti e “quel fremito nervoso sotto il naso corto mentre si ficca la sigaretta in bocca.” È il 1960 quando John Updike, scrittore del Wisconsin, con buoni precedenti sul New Yorker, fa uscire il primo dei quattro volumi dedicati al suo “Rabbit”. Il romanzo fa discutere per tante ragioni, non ultima una serie di scene di sesso che per quei tempi sono decisamente troppo esplicite. Harry è un ragazzo di ventisei anni; si guadagna da vivere dando dimostrazioni sull’uso di un attrezzo da cucina chiamato Magisbuccia. Ha una moglie, Janice, e un figlio, Nelson. Janice è una ragazza insicura, fragile, sottomessa al marito, un’alcolizzata. La nuova gravidanza l’ha pure infiacchita, imbruttita. Un bel giorno Harry monta in macchina e dal Wisconsin arriva fino in Virginia Occidentale. Harry è un uomo in fuga. La fuga di Harry “Coniglio” Angstrom è tra le cose migliori che siano mai uscite dalla penna di uno scrittore, sappiatelo. L’America è un’adolescenza senza fine, scrive Ben Lerner in “Topeka school”, ed Harry è il ritratto di un’America che non vuole diventare adulta. Prima ho citato il romanzo di Salinger; Holden Caulfield vaga per New York perché non sa come spiegare ai suoi genitori che è stato espulso dal liceo. Harry Angstrom scappa per non confessare a Janice che il loro matrimonio è stato un errore “la sua colpa è un agglomerato di fuga, crudeltà, oscenità e presunzione; un nero grumo racchiuso nelle viscere della nascita.” Lui, lei, l’altra. L’altra è Ruth, la seconda vittima di Harry, la traviata che ha smesso di credere all’amore, la donna che non spera e non si illude. La vita di Ruth è stata una sequenza di menzogne e impudicizie, ed Harry è solo l’ultimo nome sul suo brogliaccio delle presenze maschili. L’ennesima fregatura, forse. Coniglio fugge da entrambe le donne. Dribbla gravidanze, aspettative, suoceri. Uno dei temi del libro è la fede religiosa. Updike ne affida il ruolo al reverendo Eccles. Sarà lui a redimere il fuggiasco? E a quale prezzo? Di Updike è stato scritto di tutto. Di Lui, David Foster Wallace disse che era uno scrittore generazionale; “Corri, Coniglio” uscì pochi anni dopo “On the road” di Kerouac, un’altra bella storia di fughe, forse l’archetipo di questo genere di narrazione. Non so di preciso cosa abbia voluto intendere Wallace con quella espressione; che le trame di Updike siano rappresentative di una certa stagione del Novecento americano e degli umori legati a quegli anni, è possibile. Al di là di questo, Updike resta un gigante della letteratura, dentro e fuori del suo tempo; ed Harry “Coniglio” Angstrom, un personaggio che non si dimentica.
Angelo Cennamo
