
Harold Silver è un professore di storia ossessionato da Richard Nixon, forse un giorno ci scriverà un libro. Ha una moglie cinese che lo mollerà nella prima parte della storia; un fratello più giovane, George, direttore di un canale televisivo; una cognata molto seducente, Jane; due nipotini: Nate e Ashley. Harold invidia George: il suo fascino, il successo professionale, il benessere familiare, la moglie, sopratutto, con la quale sta per avere una relazione disastrosa. Siamo alla scena iniziale di “Che Dio ci perdoni” di Amy Michael Homes, meglio conosciuta come A.M.Homes, scrittrice di Washington trapiantata a New York, considerata una tra le voci più interessanti della narrativa americana. Non so dire quante copie abbia venduto la Homes di questo romanzo, uscito in Italia nel 2012 – dove mi trovavo quell’anno per non averne sentito parlare? – non mi sorprenderei se fossero meno di mille. Ma rimaniamo sul pezzo. In un incidente d’auto, George uccide una coppia di coniugi. È fuori di sé, lo ricoverano in una struttura psichiatrica. Nelle stesse ore, Claire, la moglie di Harold, è volata in Cina, mentre Jane è a letto con suo cognato. Siamo alla seconda scena del romanzo. Da qui la storia innescherà un tagico effetto domino che finirà per travolgere ogni cosa. Non aggiungerò altro sulla trama, che almeno nella prima parte è abbastanza semplice e lineare. Tutto il resto no. La seconda vita di Harold è un turbinio di inciampi e disavventure, di incontri erotici su internet, scompensi fisici, possibili adozioni e stravolgimenti professionali fino ad allora inimmaginabili. Le tracce parallele al tema principale sono tante, forse troppe. Leggendo il libro mi è venuta in mente la parabola dei Levov, la famiglia perfetta di “Pastorale Americana”. Homes, da una prospettiva diversa, segue lo stesso percorso di Philip Roth: distrugge il mito, dissacra, sbugiarda, ridicolizza, spegne le luci sullo storytelling della felicità borghese. “Che Dio ci perdoni” è un romanzo sopra la media per qualità della scrittura – ritmo sostenuto, repentini cambi di registro – spessore e umanità dei personaggi; per come la Homes ha saputo raccontare le vicende di tutti con le voci di tutti: donne e uomini, adulti e bambini; per la precisione e la brillantezza dei dialoghi, certamente il punto di forza del libro; per la comicità che che sconfina nel sarcasmo in molti dei passaggi decisivi. Bellissimo.
Angelo Cennamo