
Certi romanzi si muovono su un crinale sottilissimo: basta un niente per farli cadere nella più totale inconsistenza, oppure deviarli sullo scaffale delle grandi opere. Con Chuck Palahniuk accade spesso. Il nome di Palahniuk, scrittore originario di Pasco (Washington) ma trapiantato nell’Oregon, è legato a uno degli esordi più discussi degli ultimi trent’anni: “Fight Flub”, romanzo cult uscito nel 1996 (l’anno di Infinte jest di Wallace). Con “L’invenzione del suono” Palahniuk ritorna ai fasti di una verve creativa che negli ultimi tempi era sembrata appannata e con pochi sussulti. Il romanzo è una gigantesca parodia e/o paranoia sulla mercificazione del dolore e sul potere dell’arte. I protagonisti sono un padre disperato per la scomparsa della figlia, avvenuta diciassette anni prima, e una nota rumorista che ha imparato a riprodurre con delle strane tecniche ereditate dal padre, suoni legati a gesti estremi.Il mio lavoro dice Mitzi Ives (questo è il nome del personaggio femminile) “consiste nel far gridare tutti nello stesso preciso istante” – il romanzo si apre con un branco di cani che ululano al passaggio di un’ambulanza. Uccidere altre donne per lei non è solo un modo agghiacciante per selezionare e rimpinguare il suo già enorme data base di nuovi suoni, ma anche una specie di conquista, un fatto politico: l’omicidio diventa il vero metro del progresso delle donne. Mitzi agisce sotto l’effetto di un farmaco chiamato Ambien, che serve a cancellare la memoria nel breve periodo: gli americani costruiscono il proprio successo sulla rimozione del passato, ricordate la lezione di Stephen King in “It”? Gates Foster (il personaggio maschile) non accetta la morte della figlia; la cerca esplorando il dark web, arriva addirittura a pagare una ragazza che le somiglia per mettere in scena una verità impossibile – il confine tra vero e falso è un’altra traccia del libro. Il mestiere che Gates Foster sogna è torturare gli uomini che torturano i bambini. Nel suo archivio, Mitzi classifica gli urli delle sue vittime come dipinti “Urlo straziante di un uomo che precipita nel vuoto… L’urlo di uomo azzannato da un alligatore”. Ma l’urlo a lei più caro è quello di sua madre, registrato dal padre su un vecchio nastro con su scritto “Traditrice sommariamente giustiziata con un punteruolo arrugginito”. Non è il dolore a produrre i risultati migliori: le registrazioni più redditizie sono collegate al suono del terrore. Palahniuk gioca d’azzardo, la sua trama è a tratti oscura, criptica, labirintica, si legge sopra le righe, tra le righe: Palahniuk lo ami o lo detesti, non ci sono mezze misure. Nel caso trovaste i suoi romanzi respingenti, non mollateli, andate fino in fondo: se non altro, migliorerete il vostro modo di scrivere, e imparerete a leggere meglio. Le storie di Mitzi e di Gates scorrono su paragrafi alternati. I due si incontreranno nella seconda parte del romanzo, quando tutto si svelerà e si ricomporrà in una verità che non distinguerete dalla finzione. Geniale e un po’ folle, il solito grande Palahniuk.
Angelo Cennamo