
Comincio dalla fine: il premio Strega se l’è aggiudicato il bel romanzo di Emanuele Trevi, una storia di ricordi e di amicizia, la migliore della cinquina in gara – non ci voleva molto – ma non dell’intera edizione: “Sembrava bellezza” di Teresa Ciabatti avrebbe meritato più di “Due vite”, per tante ragioni – ne ho scritto su Telegraph Avenue. Per il resto, la serata della premiazione si è svolta con la solita flemma, complice forse l’ora tarda – in Italia i libri occupano al massimo la fascia notturna dei programmi televisivi. Una specie di veglia funebre radical chic di noiosi e annoiati scrittori e affini, intervallata dai filmati di quattro bimbi inconsapevoli, potenziali lettori forse di altro, che giocano ad indovinare il contenuto dei romanzi che si contendono il premio. Guardo lo scatto rubato a Sandro Veronesi, quest’anno presidente di giuria, e penso a quella frase di Umberto Saba: La letteratura italiana è secoli di noia.
Angelo Cennamo
La tua sintetica descrizione del Premio Strega calza a pennello!
Non ho letto Due vite, dovrò rimediare, posso dirti invece che Sembrava Bellezza mi ha delusa tantissimo, la Ciabatti secondo me si affanna troppo a rincorrere il premio Strega, infatti ha calcato marcatamente lo stampo de La più amata e la sua scrittura mi è sembrata degna tutt’al più del lettino di uno psicanalista mediocre.
A me più di tutti ha incuriosito Edith Bruck.
E comunque, sì, la formula del Premio Strega merita una revisione, a un certo punto non sopportavo più nemmeno Geppi Cucciari nel suo sforzo di tener sveglio il pubblico.
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Ho amato il romanzo di Trevi, “Sembrava Bellezza”, l’ho trovato un romanzo che, sebbene ben scritto, è privo di contenuti di spessore e di allegorie e, per alcuni aspetti, incompiuto…
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