
La Los Angeles di Arturo Bandini è una città in fermento, brulicante di uomini d’affari e aspiranti artisti. Hollywood, una miniera d’oro per sceneggiatori e soggettisti. John Fante si è guadagnato da vivere scrivendo soprattutto per il cinema, attività che lui giudicava un ripiego, utile, a volte necessario, ma un surrogato della più nobile arte della letteratura ”John dovrebbe limitarsi a scrivere libri. Scrivere dei film, per quello che ne so, è uno spreco di talento e di tempo. Anche se ora il salario del cinema ci fa comodo” dirà la moglie Joyce a un editore amico di suo marito.
“Sogni di Bunker Hill”, l’ultimo romanzo, dettato a Joyce da un Fante ormai cieco e con entrambe le gambe amputate per via del diabete, racconta proprio le prime esperienze nel mondo della celluloide del giovane Bandini, arrivato a Los Angeles dal Colorado in cerca di fortuna. Bandini è una simpatica canaglia, un provincialotto goffo e sfacciato, animato da grandi speranze. Trova alloggio in un alberghetto di Bunker Hill gestito dalla signora Brownell, una vedova più anziana di sua madre, con i capelli bianchi e la dentiera. L’attempata signora Brownell non ha esattamente i tratti della giovane e sensuale Camilla Lopez di “Chiedi alla polvere”, ma Arturo se ne innamora e ci finisce a letto. È riuscito a strappare un contratto alla Columbia, che lo paga profumatamente per non scrivere nulla, nel frattempo si gode la vita curiosando tra colleghi e aspettando la grande occasione per debuttare finalmente come romanziere. Che ci vuole, basta trovare una frase giusta, poi una seconda, una terza e il resto viene da sé. Ma la strada è irta di ostacoli e piena di sorprese, non tutte piacevoli. Troppo facile illudersi, caro Bandini. Il ritorno in Colorado, dalla sua famiglia, con gli stessi pochi dollari che aveva in tasca quando era partito per Los Angeles, ha le tinte del neorealismo di certi film di De Sica: il padre italiano che sotto la neve accoglie il figliol prodigo rioffrendogli quello che un tempo fu il suo paltò; la madre piangente che porta in tavola le lasagne, i fratelli intorno a fargli mille domande sui divi del cinema, e Arturo che finge di conoscerli tutti manco si trattasse dei suoi migliori amici.
“Sogni di Bunker Hill”, uscito nel 1982, come gli altri romanzi della saga di Bandini ha una forte impronta autobiografica. È un bel romanzo ma una spanna sotto i due capolavori di Fante: “Chiedi alla polvere” e “La confraternita dell’uva”, che hanno venduto decisamente più copie di questo. Né ha riscosso la popolarità di “Full of life”, l’opera di maggiore successo del Fante ancora in vita, al quale però l’autore non sembrava particolarmente legato “Full of life è stato scritto per soldi. Non è un romanzo molto bello”.
Quando John Fante morì, l’8 maggio del 1983, all’età di 74 anni, pochi mesi dopo la pubblicazione di “Sogni di Bunker Hill”, negli Stati Uniti quasi nessuno si ricordava più di lui.
Angelo Cennamo