
New Prospect, Chicago, Illinois. Mancano pochi giorni al Natale del 1971. Dal Vietnam giungono gli ultimi echi di guerra, Nixon a momenti sprofonderà nel Watergate, l’onda studentesca di Berkeley ormai ha invaso anche le ultime campagne del Midwest.
Jonathan Franzen nel Midwest c’è nato, ed è lì che colloca le sue storie migliori. Dalle correzioni dei coniugi Lambert alle tentazioni della famiglia Hildebrandt sono trascorsi vent’anni. Due decenni che lo scrittore di Western Springs ha riempito con qualche saggio ambientalista e due altri romanzi: Libertà nel 2010 e Purity nel 2015.
“Il cielo spezzato dalle querce e dagli olmi spogli di New Prospect era pieno di una promessa umida, un paio di sistemi frontali che colludevano grigi per offrire un bianco Natale…”.
“Un fronte freddo autunnale arrivava rabbioso dalla prateria. Qualcosa di terribile stava per accadere, lo si sentiva nell’aria. Il sole era basso nel cielo, una stella minore, un astro morente. Raffiche su raffiche di entropia. Alberi irrequieti, temperature in diminuzione, l’intera religione settentrionale delle cose era giunta al termine”.
Il metereologismo dei due incipit, ne “Le correzioni” e in “Crossroads”, non è il solo punto di contatto tra i due libri, c’è dell’altro: come i Lambert anche gli Hildebrandt devono fare i conti con la devianza dal giusto e i sensi di colpa. Per gli Hildebrandt però la sfida è particolarmente onerosa, quasi invincibile. Sì, perché Russ Hildebrandt, il capofamiglia, non fa un lavoro qualsiasi: è il pastore di una chiesa locale a New Prospect.
Russ ha una moglie (Marion) e quattro figli: Perry, Clem, Becky e il piccolo Judson, quest’ultimo poco più che una comparsa nell’economia della storia. Sono le loro piccole vite, ai margini di un’America lontana dalle luci e dal progresso delle solite metropoli, a dare corpo – solido – a “Crossroads”, sesta opera di narrativa di Franzen, forse la più attesa negli ultimi anni della letteratura americana dopo l’inciampo di DeLillo ne “Il silenzio”.
“Crossroads” come “Cross road blues”, una vecchia canzone di Robert Johnson poi ripresa dai Cream. Ma Crossroads è anche il nome che si è dato il gruppo giovanile della chiesa di Russ, ora gestito dal reverendo Rick Ambrose, più bravo del suo collega, anche per ragioni anagrafiche, a dialogare e a farsi capire dagli studenti. Russ e Ambrose hanno stili diversi. Quello di Ambrose “psicologico e scafato”, quello di Russ “più politico e biblico”. Dal gruppo, del quale fanno parte anche i suoi figli – che smacco – Russ era stato addiruttura cacciato per via di quel brutto vizio di sbavare “inconsapevolmente” dietro le ragazzine.
La crisi matrimoniale di Russ e Marion è una delle tracce del romanzo. Franzen ripercorre tutte le tappe di avvicinamento dei due coniugi, specialmente le precedenti delusioni – sessuali/amorose/procreative – di Marion, la sua follia, diagnosticata ma taciuta al marito dopo le nozze.
Tra Russ e Marion c’è uno spazio bianco di silenzi, incomprensioni, astinenze; questo spazio lo ha riempito Frances Cottrell, una giovane vedova che frequenta la parrocchia di Russ.
Frances è tra i personaggi più interessanti del libro; la sua leggerezza briosa è una continua provocazione per Russ. La vedova, nonché madre di Larry, amico di Perry Hildebrandt, non perde occasione per ritrovarsi a tu per tu con l’anziano reverendo. Lo stuzzica, gli propone perfino di sperimentare – loro due da soli – l’uso della marijuana per capire fino in fondo cosa sta accadendo ai loro figli, soprattutto a Perry, il più scapestrato della prole di Russ. Ha cominciato fumando erba, poi e passato a ben altro. Una curiosità. Seguite questo passaggio:
“Aveva il naso e la bocca così intorpiditi che il moccio gli colò fino al mento prima che se ne accorgesse. Se lo cacciò in bocca e assaporò l’eterna freschezza della sostanza di derivazione naturale in esso dissolta”.
Ora seguite questo:
“Fuori, nel croccante prato marzolino, alonata dai fasci di luce che spiovono dai lampioni, tra capannelli di ragazzi in blazer blu che risalgono il vialetto rifinendosi l’alito a colpi di mentine, assapora una breve epistassi”.
Il secondo brano è l’incipit de “La scopa del sistema” di David Foster Wallace.
“Crossroads” è un romanzo lungo (629 pagine), corale, stratificato. Ognuno dei protagonisti ha il proprio romanzo dentro il romanzo. La storia di Clem, il figlio ribelle di Russ che vuole partire per il Vietnam per ragioni etiche sfidando il pacifismo degli Hildebrandt, si intreccia a quello di sua sorella Becky. Il legame tra Clem e Becky è morboso, malato.
I viaggi del gruppo di Crossroads in Arizona, tra i navajos – con Frances Cottrell alle calcagna di Russ – e quello di Clem in Cile, sulle Ande, sono il pretesto narrativo che consente a Franzen di allargare il campo ai temi dell’ambientalismo, una sua fissa come l’ornitologia. Sono le uniche “Zone disagio”, parlo per me almeno, di un libro che ha poche imperfezioni e moltissimi pregi.
“Crossroads” è lo specchio fedele di un’America puritana e rurale che ancora resiste in molte province non solo del Midwest. Un’America che non distingue tra peccato e reato, tra sesso e amore, tra giustizia e vendetta. La storia degli Hildebrandt, meravigliosamente tradotta da Silvia Pareschi, non finisce a pagina 629: “Crossroads” è solo il primo capitolo di una trilogia che, ne siamo sicuri, lascerà il segno.
Angelo Cennamo