STORIA DI SHUGGIE BAIN di Douglas Stuart è il libro dell’anno

Le famiglie infelici non si somigliano, scrive Tolstoj. L’infelicità della famiglia Bain però contiene dentro di sé qualcosa di universale “Se capisci una disperazione, capisci qualsiasi disperazione” dirà un giorno Raymond Carver al suo giovane studente David Leavitt. Prima di riuscire a pubblicare “Shuggie Bain” – in Italia “Storia di Shuggie Bain”, edito da Mondadori con la traduzione di Carlo Prosperi – romanzo di esordio e vincitore del prestigioso Booker Prize nel 2020 – Douglas Stuart si è sentito dire “no, grazie” da ben trentadue – trentadue! – case editrici. 

È il 1981. Glasgow è una città messa in ginocchio dalla crisi economica. Al numero 10 di Downing Street – quanto dista Londra da Glasgow? – Margaret Thatcher deve fronteggiare l’onda d’urto del mondo operaio. Di lì a poco, gli irlandesi U2 urleranno “Sunday Bloody Sunday” rivelando al mondo l’orrore della guerra di religione tra cattolici e protestanti. Cosa c’entra la religione nelle vicende della famiglia Bain, vi starete chiedendo. C’entra, perché all’origine di questa storia c’è un’idea di felicità familiare fondata sulla appartenenza e la condivisione di certi principi. È il perimetro nel quale cresce l’insoddisfazione e matura la fine del matrimonio tra Agnes Bain e il suo primo marito. Agnes Bain – fate attenzione a questo nome perché la storia che porta il nome di Shuggie è soprattutto la “sua” storia – è una donna bellissima e inquieta, data (probabilmente) in moglie ad un uomo cattolico dal quale ha avuto due figli: Catherine e Leek. La fuga da questo marito, buono, premuroso, perfetto per i suoi genitori ma non per lei, ha il volto di Shug, un tassista – questa storia è piena di taxi e di tassisti – rozzo e donnaiolo. Nasce il terzo figlio, Shuggie. Shuggie non è la voce narrante del libro, ma tutto il racconto è filtrato attraverso il suo sguardo. L’unione tra Agnes e Shug è corrotta dall’incomprensione e dai continui tradimenti di lui. Agnes si rifugia nell’alcol. Inizia un calvario fatto di traslochi, miseria, pregiudizi. Nel villaggio di Pithead, abitato perlopiù da minatori disoccupati e da mogli frustrate, la presenza di Agnes porta curiosità e scompiglio; la pietra dello scandalo rotola tra una lussuria avvilente e una perenne indigenza, in un continuo alternarsi di vicende pubbliche e private. I soldi dei sussidi non bastano mai. La puttana dal cappotto rosa e il figlio frocetto sono sulla bocca di tutti. Agnes non si dà per vinta, resiste finché le forze l’assistono, nella sua vita ormai non c’è spazio che per l’alcol. Il rapporto travagliato tra il piccolo Shuggie e sua madre è il cuore di questa storia, umana e brutale al tempo stesso. Il corpo seminudo e martoriato di Agnes avvolto dalle braccia del figlio è una Pietà rovesciata. Siamo alle ultime battute del romanzo, le più commoventi. Scorrono i titoli di coda. Standing ovation. 

Agnes Bain è il miglior personaggio femminile degli ultimi vent’anni, a metà tra Anna Karenina e la Magnani di Roma Garofolo nel film di Pasolini: se “Storia di Shuggie Bain” è libro dell’anno, è soprattutto per merito suo.  

Angelo Cennamo

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