
Finisce più o meno com’è cominciata trent’anni prima, la storia di Harry Angstrom: con una partitella a basket. Oggi però le cose vanno diversamente, Harry non ha la baldanza dei tempi del liceo e le sue coronarie gli hanno giocato più di un brutto scherzo. Tap su rewind. “Riposa, Coniglio” – “Rabbit at rest” nella versione originale – è il quarto capitolo della celebre saga del Coniglio. Uscì nel 1990 e a John Updike valse il secondo premio Pulitzer della sua carriera, il primo se lo aggiudicò con il terzo volume della stessa serie, “Sei ricco, Coniglio”.
Siamo nell’ultimo scorcio della stagione reaganiana, la Guerra Fredda – la rigida contrapposizione tra Est e Ovest che per Harry dà senso e misura agli Stati Uniti d’America – è finita. I coniugi Angstrom, cinquantasei anni lui, cinquantaquattro lei, si sono trasferiti sotto il sole della Florida, mentre il loro unico figlio, Nelson, manda avanti le due concessionarie Toyota – “Il terreno” – ereditate da sua madre Janice. Negli ultimi tre decenni gli Angstrom non si sono fatti mancare nulla: povertà, ricchezza, droga, tradimenti reciproci, fughe, ritorni, tragedie familiari come la morte per annegamento della sorellina di Nelson.
Il Grande Romanzo di Coniglio Angstrom stupisce per la sua progressiva perfezione di stile e di contenuti, circostanza questa che ha pochi precedenti, e i Pulitzer vinti, attenzione, non con i primi due capitoli ma con gli ultimi due, confermano l’insolita evoluzione di una storia che non solo non si sgonfia ma oltre le mille pagine acquista addirittura nuova linfa in termini di bellezza e di appeal dei personaggi. Mi diceva un commesso della Feltrinelli che i romanzi di Updike, autore particolarmente prolifico ma poco tradotto in Italia – i titoli attualmente disponibili saranno all’incirca sei o sette – si vendono col contagocce. È un peccato perché Updike è tra le voci più interessanti e rappresentative del secondo Novecento americano, almeno quanto John Cheever, Saul Bellow, Bernard Malamud, Richard Yates, Philip Roth…
Tornando al romanzo, tutta la vicenda si compie tra la Florida e la Pennsylvania. Il rapporto tra Harry e Nelson è una delle tracce principali. Diciamola tutta: per quanto gli voglia bene, Harry non sopporta Nelson, non gli è mai andato a genio quel figlio prima mammone, oggi cocainomane e ladro in casa propria. A Harry, Nelson non piace neppure fisicamente: la calvizie incipiente, il codino, l’orecchino, per non parlare del sospetto che il ragazzo sia omosessuale e magari malato di AIDS, lo rendono ai suoi occhi un essere quasi ripugnante.
Uno dei personaggi chiave del libro è senz’altro Teresa, o Pru, la nuora di Coniglio. Il bacio in bocca che nella scena iniziale lei dà al suocero al suo arrivo in aeroporto, accende una spia che tiene i lettori in allerta fino alle ultime battute. Il sesso. Cosa ne sarebbe del resto di Coniglio Angstrom e del suo autore – “Un pene con un grosso vocabolario” disse di lui David Foster Wallace – senza quel sofisticato e pruriginoso punto di osservazione che in tempi recenti avrebbe mandato su tutte le furie i paladini della Cancel Culture?
Ma c’è dell’altro. Il sogno. Nella storia lunghissima raccontata da Updike, con il pubblico che si alterna al privato (le quattro stagioni di questo simpatico WASP sono la cronaca precisa di una grossa fetta del Novecento americano), il successo che gli Angstrom sono riusciti a conquistare grazie al duro lavoro e all’eredità milionaria destinata alla sola Janice, ora rischia di essere mandato in frantumi dalla dipendenza di Nelson e dalla sua spregiudicatezza nella gestione degli affari. Nessuno dei personaggi del libro, né Harry né Janice né Pru, e nemmeno le amanti o ex amanti di Harry, è moralmente al di sopra di qualcun altro. Tutti sbagliano, tutti invocano il perdono, tutti perdonano tutti.
“Riposa, Coniglio” è un romanzo sulla infelicità di qualunque condizione familiare ma anche sulla impossibilità di emanciparsi dalla famiglia. A pochi metri dalla conclusione, dall’alto di un drone immaginario, Updike ci mostra il corpo di Harry steso sul campo di basket con gli occhi spalancati al cielo: la sequenza di un film da premio Oscar.
Angelo Cennamo