COME DIVENTARE SE STESSI (David Foster Wallace si racconta) – David Lipsky

In Italia di David Lipsky, giornalista e scrittore newyorchese, si sa ben poco. Nel 1996, all’indomani dell’uscita di “Infinite jest”, “Rolling Stone” chiese a Lipsky di seguire David Foster Wallace nel tour promozionale del libro: cinque giorni di viaggi in macchina, in aereo, hotel, tavole calde, reading, lezioni, soprattutto confessioni, maturate in un clima di intimità, amicizia, improvvisa empatia. La lunga intervista registrata su nastro diventerà prima un libro, questo, poi un film “The end of the tour”. Nel 1996 Wallace è lo scrittore americano più celebrato, e la popolarità del suo romanzo di oltre mille pagine – almeno quattrocento furono tagliate dall’editor Michael Pietsch – si riverbera in ogni angolo del paese. È un clamore che si autogenera e amplifica anche tra chi il romanzo non lo ha letto ma ne parla lo stesso (molti). Wallace si confida, racconta paure, debolezze, nevrosi, ma anche la convinzione di aver fatto un buon lavoro: se “La scopa del sistema – il primo romanzo scritto ancora tra i banchi universitari – sostanzialmente fa un po’ cacare…l’ho scritto molto velocemente, riscritto senza troppa attenzione…di Infinite jest ne sono fiero”. È la prima volta che un libro di Wallace supera le cinquecento pagine. Come si spiega il successo di un romanzo così lungo e di difficile lettura?  “Uno non legge un libro di mille pagine perché ha sentito dire che il suo autore è un tipo simpatico. Lo legge perché gli hanno fatto capire che l’autore è geniale”. Nonostante la fragilità e le tante insicurezze, Wallace dunque è consapevole di essere un genio. “Infinite jest” è un libro ostico ma anche divertente, molte sue parti parlano alle terminazioni nervose dei lettori, dice. “Terminazioni nervose” è un’espressione ricorrente, l’approccio sensoriale è un aspetto essenziale, direi decisivo nella letteratura di Wallace. Quando Lipsky gli chiede come se lo immagina un suo lettore medio, l’altro David risponde con il proprio identikit: giovane, colto, nerd.
La breve vita del Wallace scrittore prima ancora del Wallace uomo, è un percorso sinuoso e accidentato fatto di alterne fortune e di rovinose cadute. Due anni dopo la “Scopa del sistema” Wallace pubblica “La ragazza dai capelli strani”; è il libro della consacrazione ma anche l’approdo a una scrittura e ad una visione percepite come un ultimo stadio. Il ricovero in un ospedale psichiatrico nel bel mezzo del master ad Harvard diventa lo spartiacque tra un prima e un dopo. Nei primi anni Novanta Wallace si dedica alla stesura del romanzo che non avrebbe mai immaginato di scrivere. Lo scrive per se stesso, senza fretta né condizionamenti di tipo commerciale “Noi scrittori sperimentali non scriviamo per i soldi. Ma non siamo mica santi. Vogliamo comunque essere letti”. Già dai primi capitoli si intuisce che l’opera è particolarmente ambiziosa, nuova, spiazzante. Wallace sonda gli amici più stretti: Jon Franzen e Mark Costello, il compagno di università con il quale ha scritto il saggio “Il rap spiegato ai bianchi”. L’anticipo pagato dall’editore è sostanzioso. Non andare in giro a raccontarlo, gli suggerisce Pietsch. 

Le confessioni di Wallace abbracciano tutta la cultura americana: dalla musica di Alanis Morissette al cinema e alla tv, dalla politica alla letteratura. Abbastanza sprezzanti sono i giudizi su John Updike. Sentite cosa dice di “American Psycho” di Bret Easton Ellis: “Secondo me l’agente e l’editore non gli hanno fatto un buon servizio anche solo a lasciarglielo pubblicare”. Il libro di Lipsky è un saggio, un reportage, o un romanzo (roadbook) su due giovani autori – uno famoso l’altro no – che si scambiano esperienze e pareri sulla vita negli Usa? Non lo so. Penso però che leggerlo sia il modo migliore per approfondire il fenomeno David Foster Wallace dopo averne conosciuto la parte esterna, esclusivamente narrativa, e invidiare Lipsky per quella opportunità che, ne siamo sicuri, se la ricorderà per il resto della sua vita.

Angelo Cennamo

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