UN UOMO SOLO – Antonio Iovane

Da qualche anno Antonio Iovane, giornalista d’inchiesta oltre che scrittore, sta ricostruendo un pezzo importante della nostra storia recente. Con “Il brigatista” (2019) e “La seduta spiritica” (2021), pubblicati con Minimumfax, Iovane ha raccontato gli Anni di Piombo e la vicenda Moro ricorrendo a una lingua diversa – nel 1973 Tom Wolfe coniò l’espressione “New jurnalism”, ricordate? – introducendo nuovo materiale, dettagli, e offrendo spunti di riflessione a chi quei fatti non li ha conosciuti per ragioni anagrafiche o li ha semplicemente dimenticati, rimossi dalla memoria. “Un uomo solo” si inserisce in questo percorso ricognitivo-divulgativo diventato ormai un brand letterario. Stavolta però Iovane fa un passo indietro per condurci sulla riviera ligure: Sanremo, 26 gennaio 1967. L’uomo solo è Luigi Tenco.

In poco più di cento pagine – agili, veloci anche nella punteggiatura, con le fasi salienti della storia che si susseguono in lunghi periodi senza punti – Iovane ricostruisce le ultime ore del cantante: lui, Dalida, il festival, e quella “Ciao amore, ciao” che forse avrebbe meritato maggiore fortuna. Quando fu ritrovato senza vita nella camera 219 dell’hotel Savoy, Tenco non aveva neppure trent’anni. Un colpo di pistola gli aveva spappolato il cervello. Suicidio? Iovane non apre nuovi file, si limita a riportare i fatti senza omettere nulla. Ma lo scoop non è solo nella precisione del racconto: Iovane dà voce ai protagonisti inserendoli in una trama noir. “Un uomo solo” è una storia di inquietudini più che di canzoni, e Luigi Tenco un giovane animato da propositi più grandi di lui per essere un semplice cantautore alla ricerca di una ribalta nazionalpopolare. Molti di voi faticheranno a comprendere le ragioni del gesto di Tenco, specialmente in un contesto ludico e festoso come quello di Sanremo; fu solo la sbandata di un disadattato, il cedimento di una mente debole? – così lo liquidarono molti suoi colleghi e organizzatori del festival. No. Tenco si uccise in un tempo difficile, di transizione, trascinato da un clima che di lì a poco sarebbe diventato irrespirabile; Mina e Battisti non emularono Tenco, ma le loro “fughe” dai riflettori ebbero a che vedere anche con quel clima. Tenco mal sopportava la leggerezza della canzonetta disimpegnata, e il biglietto lasciato prima dello sparo ce lo ha confermato. Tenco era un paranoico? Un fanatico fuori contesto? Una sola cosa è certa: l’edizione di quel festival non fu sospesa per lutto. 

Angelo Cennamo

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