
Alla soglia dei quarant’anni, poco prima che morisse, fiaccato nel fisico e da una gravosa esposizione debitoria, del Francis Scott Fitzgerald che nel ’25 aveva conquistato l’America con “Il Grande Gatsby” era rimasto ben poco.
Come altri suoi colleghi (pensate a John Fante), Fitzgerald pensò di riciclarsi come sceneggiatore nella nuova Hollywood del sonoro, affamata come non mai di scrittori disposti a migrare negli studios in cambio di compensi abbaglianti. L’esperienza alla Metro Goldwyn Mayer tuttavia non sortì gli effetti sperati: Fitzgerald e il cinema parlavano lingue troppo diverse. Nel ’38 lo scrittore originario del Minnesota iniziò allora a lavorare ad un nuovo romanzo, rimasto incompiuto e pubblicato postumo in più di una versione. Si sarebbe dovuto intitolare “The last tycoon”. Nel 1976 il libro o quel che ne rimaneva fu tradotto in un film da Elia Kazan.
Le parole con le quali Fitzgerald cerca di convincere il suo editore sulla bontà del progetto (un romanzo breve di cinquantamila parole) – riportate nell’appendice della nuova edizione italiana di minimum fax uscita con un altro bel romanzo “Di là dal tramonto” di Stewart O’Nan, che ripercorre proprio gli ultimi anni di vita di Fitzgerald – danno la misura della disperazione o quasi di un uomo che ha l’urgenza di guadagnare nuovo denaro dopo i lunghi periodi di “astinenza”.
“L’amore dell’ultimo milionario” racconta la storia di Monroe Stahr, personaggio ispirato alla figura del noto produttore Irving Thalberg. La voce narrante è di Cecelia Brady, la figlia ventenne del rivale di Stahr, perdutamente innamorata del protagonista, il quale però non ha occhi che per l’irlandese Kathleen Moore, il personaggio forse più affascinante e riuscito del romanzo. Kathleen è una donna enigmatica; per molte pagine prova a respingere il corteggiamento serrato di Stahr; le ragioni della misteriosa resistenza sarà lei stessa a spiegarle in una lettera.
L’amore al centro, dunque, ma c’è un secondo tema, ineludibile: Hollywood, le sue tentazioni, l’industria del cinema. I dialoghi tra Stahr e lo scrittore inglese George Boxley, reclutato come sceneggiatore, ci dicono molto del disagio vissuto dallo stesso Fitzgerald alla Metro Goldwyn Mayer: lui, il grande romanziere, costretto a lavorare in squadra con degli scribacchini semianalfabeti, pennivendoli con “un vocabolario che non supera cento parole”. È importante leggere i frammenti lasciati da Fitzgerald, divisi in episodi numerati, con le pagine in appendice, che di fatto ne completano il senso e la trama, rimasta per ovvie ragioni lacunosa e a tratti disarticolata.
“L’amore dell’ultimo milionario” è soprattutto il ritratto fedele di un tempo (l’America del post Wall Street Crash), di un mondo (la rivoluzione del cinema che da muto inizia a parlare), di un autore caduto nella polvere e a un passo dalla fine. Bello, malinconico, istruttivo.
Angelo Cennamo