CHRONIC CITY – Jonathan Lethem

La combriccola di Perkus Tooth. Si sarebbe potuto intitolare anche così questo romanzo di Jonathan Lethem, il miglior Lethem, lo scrittore destinato in quello stesso tempo ad ereditare da David Foster Wallace la cattedra di scrittura creativa all’università di Pomona, in California. Ultimi fuochi di un postmodernismo ancora vivo e vegeto, diremmo, insieme a “Il tempo è un bastardo” di Jennifer Egan – premio Pulitzer – uscito l’anno dopo, nel 2010; libro sul quale, a detta di qualcuno, sarebbero comparsi definitivamente i titoli di coda di questo genere letterario (non se la prendano Ben Lerner e Joshua Cohen, figli di una generazione che ha raschiato il barile dei vari Pynchon, Barthelme e DeLillo). 

Mentre scrivo, “Chronic city” lo si può acquistare su Ibs o Amazon a poco meno di quattro euro. Sic transit? Non so. Potrebbe anche essere il segnale di un gusto letterario che comincia a prendere le distanze da “certa roba difficile” – ammesso che quella distanza, in Italia almeno, sia mai stata più breve – per sostituirla con letture meno complicate e lineari. 

Ma rimaniamo sul pezzo. “Chronic city” è la storia/non storia/ di un gruppo di amici newyorchesi tra i quali spiccano le figure di Perkus Tooth – un critico rock, strabico e mezzo matto, dipendente dal caffè e da una droga leggera chiamata per l’appunto “Chronic”, spacciatagli da un certo Foster Watt – e Chase Insteadman, ex star della televisione, oggi famoso per essere il fidanzato di un’astronauta bloccata nello spazio. Chase è la voce narrante del libro, le cui quattrocentocinquanta e passa pagine, più che il racconto di una vicenda reale,  sembrano una gigantesca allucinazione fatta di vasi ipnotici da comprare all’asta, cene e party mondani, tigri in giro per la città a seminare terrore, tradimenti come quello dello stesso Chase con la ghostwriter Oona Laszlo. 

Perché “Chronic city” è un romanzo interessante – perché “Chronic city” È un romanzo interessante. Lo è perché Lethem ha l’abilità di costruire un mondo alieno e di tirarci dentro. “Troppi Jonathan nella letteratura” scrive il Franzen di “Purity”, eppure nessuno è bravo come Lethem a raccontarci, a mostrarci New York (“Brooklyn senza madre”, “La fortezza della solitudine”, “I giardini dei dissidenti” sono dei meravigliosi affreschi – che brutta parola – di New York City). La Manhattan distopica, borghese, decadente e drogata, di “Chronic city” non fa eccezione. La non-storia di Lethem è una sequenza di situazioni paradossali e deliranti che trovano nell’ossessione per il consumismo, nella dipendenza e la solitudine, delle solide linee guida. A catalizzare l’attenzione del lettore è soprattutto Perkus, personaggio a metà strada tra il Don Chisciotte di Cervantes e lo Zarathustra di Nietzsche. È intorno a lui che ruota la folle giostra di Lethem. Libro geniale.

Angelo Cennamo

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