IO, DAVID LEAVITT E LA LINGUA RITROVATA

Da via Foria, dove ho parcheggiato, al Teatro Bellini sono quattro passi. Venerdì 8 aprile, il tour di David Leavitt fa tappa a Napoli. Leavitt è accompagnato da Riccardo Cavallero e Teresa Martini di Sem, l’editore italiano che due anni fa ha pubblicato in anteprima mondiale “Il decoro” e che da qualche mese ha riportato in libreria “La lingua perduta delle gru” con la nuova traduzione di Fabio Cremonesi. La sala attigua al teatro è gremita. Leavitt mi stringe la mano e sorride quando gli ricordo che nel 2020 “Il decoro” è stato libro dell’anno per Telegraph Avenue. Ha un’aria da barone universitario, è molto alto, indossa una giacca a quadretti blu sopra il maglione e la camicia, e dei pantaloni marrone scuro non proprio intonati a tutto il resto. Il cranio è rasato e i due puntini azzurri al centro del viso osservano la piccola folla che nel frattempo si è assiepata all’ingresso. Napoli e l’Italia sono luoghi a lui familiari: Leavitt ha vissuto in Toscana per otto anni e un giorno conta di ritornarci. Oggi vive in Florida con suo marito Mark e, tra un romanzo e l’altro, insegna scrittura creativa all’università. Gli interventi che si susseguono sul palco sono precisi ma monotematici, raramente si esce dal perimetro dell’omosessualità o della pansessualità (Leavitt preferisce dire così). Il giovane interprete che dopo la cena gli darà uno strappo in hotel, si chiama Matteo Renzi. Leavitt appartiene a quella generazione di mezzo di grandi autori americani tutti esordienti negli anni Ottanta: Jay McInerney, Bret Easton Ellis, David Foster Wallace, Jonathan Franzen, Michael Chabon; quando glielo ricordo lui si schermisce e cita proprio Foster Wallace che una volta lo chiamò David-TestaDiCazzo-Leavitt (è riportato nella biografia di Wallace). Risate in sala. Degli scrittori che hai nominato, dice, ho conosciuto di persona solo Chabon; la risposta rende l’idea di quanto l’America sia vasta e variegata. Variegata perché Leavitt a quel gruppo è vicino solo per la cittadinanza e per un fatto generazionale: il suo mood letterario infatti è più europeo, più classico (quasi mai legge narrativa contemporanea), e i ripetuti viaggi in Italia (parla un discreto italiano) ce lo confermano. Tra Leavitt e l’Italia c’è un legame stretto, un comune sentire; qui da voi, dice, sono più popolare che nel mio paese. Mi è venuto in mente John Fante: quando morì, dopo una lunga malattia e la cecità, negli Usa non se lo ricordava più nessuno ma in Francia era diventato una leggenda. A cena, Leavitt è seduto a capotavola, dietro di lui c’è una foto di Pino Daniele e Massimo Troisi abbracciati. Leavitt ricorda di aver visto “Il postino” ma della fusion napo-americana di Daniele non sa nulla. Donald Trump è uno temi dell’ultimo romanzo e anche un buon argomento di conversazione. In Florida governa il repubblicano Ron DeSantis, una specie di sosia dell’ex presidente che viene dato in forte ascesa nei sondaggi: Leavitt teme un tragico déjà-vu. Poco male, gli dico, magari scriverai il sequel de “Il decoro”. 

La pizza Margherita di “Lombardi” è deliziosa come la pastiera e tutto il resto. L’aria si è rinfrescata e passeggiare per via Foria a fine serata con Riccardo e Teresa è piacevole: programmi, progetti, nuove uscite. Leavitt è già andato via con Matteo Renzi. Il tour prosegue. 

Angelo Cennamo

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