
Poco prima che venisse annunciato il vincitore del premio Pulitzer per la fiction del 2022, avrei scommesso un paio di euro, non di più – non mi piace scommettere – sull’affermazione di “Crossroads” di Jonathan Franzen o di “Smarrimento” di Richard Powers. Più su Franzen. Perché, perché quella di Franzen mi era parsa una bellissima storia familiare, degna o quasi de “Le correzioni”, il suo libro migliore, premiato nel 2001 col National Book Award. E poi perché Franzen il Pulitzer non l’ha mai vinto e questa poteva essere una buona occasione, forse irripetibile, per coronare una carriera più che dignitosa. A vincere è stato invece “The Netanyahus” di Joshua Cohen, romanzo che sarà pubblicato in Italia da Codice nei primi di settembre del 2022, con tanti saluti a “Crossroads” e a “Smarrimento” che non sono entrati neppure nella terzina dei finalisti.
Ma di cosa parliamo quando parliamo di Joshua Cohen. Di lui molti di voi ricorderanno quel librone verde uscito qualche anno fa, alto quanto il palmo di una mano, con una strana numerazione delle pagine – “Il libro dei numeri” – ambientato nel mondo di internet, i cui protagonisti hanno lo stesso nome dell’autore: un gioco di storie concentriche e inquietanti sull’identità e i pericoli del web. Opera complicatissima, oscura ma al tempo stesso geniale. Cohen è cresciuto ad Atlantic City, nel New Jersey, e nel 2017 fu giudicato da “Granta” tra i più interessanti scrittori americani. Quarant’anni, faccia da nerd, con una vaga somiglianza a David Foster Wallace, ha al suo attivo sei romanzi – non tutti pubblicati in Italia – e diverse raccolte di racconti, saggi, alcuni apparsi sul New Yorker e altre riviste importanti degli Stati Uniti. “The Netanyahus” è una strana commedia che mescola verità e finzione. Il libro prende spunto da un episodio raccontato all’autore dal critico Harold Bloom. A suo tempo Bloom si era trovato a fare da chaperon a Benzion Netanyahu in visita alla Cornell University dove quest’ultimo, specializzato in storia ebraica del Medioevo, insegnerà tra il 1971 e il 1975.
“A mordant, linguistically deft historical novel about the ambiguities of the Jewish-American experience, presenting ideas and disputes as volatile as its tightly-wound plot”.
Questa la motivazione con la quale la giuria ha attribuito l’ambito riconoscimento. Ma del nuovo libro di Cohen avremo modo di riparlarne prossimamente, in occasione della pubblicazione italiana, e in uno del suo autore, scrittore sicuramente fuori dall’ordinario, con Ben Lerner e il giovanissimo Matthew Baker tra le voci più significative del nuovo avanguardismo americano.
Angelo Cennamo