Russell Banks, scrittore di Newton, Massachusetts, viaggia oltre gli ottanta, la stessa età di Leonard Fife, il protagonista del suo ultimo romanzo – “I tradimenti”, edito in Italia da Einaudi con la traduzione di Gianni Pannofino. Leonard è un documentarista del Vermont ma dal 1968 vive e lavora in Canada. Lui e Emma Flynn, l’attuale compagna, formano una coppia di artisti “di una certa notorietà”.
La storia ha inizio nella casa di Fife dove un suo ex allievo ha allestito il set di “Oh, Canada”, il film intervista che ricostruirà la carriera del protagonista ormai prossimo alla morte per via di un cancro che lo sta consumando. All’insaputa di tutti però, Fife trasforma l’intervista in una lunga confessione per smascherare se stesso, l’ipocrisia, le menzogne di una intera vita, a cominciare dalle ragioni che lo hanno portato oltre il confine (non era partito per sfuggire alla leva e alla guerra in Vietnam?).
Essenziale è la presenza di Emma, reclamata in continuazione (“Emma, ci sei?”) e posta da Fife come condizione ineludibile per parlare alla videocamera. Emma è la sola destinataria della confessione, e il tormento del vecchio filmmaker la traccia che lega ogni capitolo del libro in un continuo alternarsi di passato e presente.

Dunque, Fife è un impostore. Ma c’è ancora tempo per rimediare. Basta volerlo. Fife lo pretende.
“Il futuro non esiste più, e il presente non è mai esistito. Nessuno sa chi fosse lui in passato. Nessuno può saperlo, a meno che non lo dica lui: a Emma… Quando un individuo non ha futuro e il presente non esiste, se non come coscienza, la sua identità si riduce al suo passato. E se, come per Fife, il suo passato è una menzogna, una finzione, allora non si può dire che questo individuo esista, se non come personaggio immaginario” (è scritto a pagina 129, la migliore del libro).
“Emma, ci sei?”. Non distraetevi “I ricordi di Fife scorrono come diapositive in un proiettore”, terza persona, presente indicativo, dialoghi senza trattini né virgolette. Le famiglie precedenti, i figli avuti, quelli perduti, gli amici, i trascorsi nella Beat Generation che si intrecciano alle vite di Bob Dylan e di Joan Baez. Ed è qui che Banks rischia di rovinare tutto aggiungendo parti poco utili alla storia e dando l’impressione di non sapere dove andare a parare. Poche decine di pagine, un pantano che buca la fiction e si somma alla confusione mentale di Fife. Poi la sterzata. Ritorna la luce. Banks si muove con agilità tra narrativa e filosofia. E alla maniera di Philip Roth, ci racconta del personaggio parlando di sé. Il romanzo è salvo. Bello e imperfetto.
Angelo Cennamo