I Cortese. Sembra di vederli mentre si apprestano a pranzare, l’ultimo giorno d’estate, in quel resort di lusso sulla costa ionica. Marina, detta Mimma, la matriarca, li ha convocati per il solito rituale di fine stagione. Sono arrivati tutti, o quasi: manca Wlady, il figlio di Bepi, il predestinato, l’unico erede credibile di quella casta di uomini e donne vivi ma poco vegeti, senza talento né speranza.

Poco distante dal convivio, uno stimato docente di fisica viene ritrovato assassinato nella vasca da bagno della sua casa museo, piena di quadri costosi e di segreti inconfessabili. Sulla scena del delitto sono già arrivati il sostituto procuratore Loris Ferrara e l’anatomopatologa Viola Guarino. Scrivere romanzi seriali, specialmente in un contesto letterario come quello italiano, sempre più affollato di giallisti e thrilleristi, comporta due grossi rischi: tediare gli affezionati della prima ora con la coazione a ripetere (trama, situazioni, personaggi); non riuscire a coinvolgere i nuovi lettori nel mood più ampio delle storie. Piera Carlomagno ha superato egregiamente la prova slegando le vicende dei suoi libri l’una dall’altra (nessun romanzo è il sequel del precedente), e introducendo personaggi, apparentemente dei gregari, che nello sviluppo della trama finiscono per rubare la scena perfino ai protagonisti Loris e Viola, vedi Leda Montessori, la vedova algida e perversa che riempie di fascino e mistero “Nero Lucano”. Ma torniamo al presente: cosa lega la scomparsa di Wlady Cortese all’assassinio di Vittorio Ambroselli, il fisico freddato nella jacuzzi forse a scopo di rapina? Ancora una volta la narrazione procede su due piani temporali, attraverso spazi e riferimenti storici che bucano la fiction. Il nome di Ambroselli, per esempio, ci porta a un’operazione di smaltimento di rifiuti nucleari che interessò concretamente i luoghi del racconto. La chiamano Fossa Irreversibile, nome che nella fenomenologia del romanzo ha il sapore di una nemesi dai contorni profetici, l’evocazione della profondità del male. Memorie di un sottosuolo che nasconde menzogne, crudeltà, sensi di colpa.
“Il taglio freddo della luna” è il terzo capitolo del Grande Romanzo di Viola Guarino, la giovane protagonista delle storie nere di Piera Carlomagno, autrice salernitana salita ormai ai piani alti del giallo italiano dopo i brillanti precedenti di “Una favolosa estate di morte” e “Nero Lucano”. Un romanzo borghese, si direbbe (l’epopea dei Cortese ricorda quella diversamente tragica dei Sonnino di “Con le peggiori intenzioni” di Alessandro Piperno), che racconta il disfacimento di un falso mito familiare costruito sulle basi fragili dell’impostura e del ricatto. La Lucania della Carlomagno è come la Istanbul di Pamuk, la Napoli di Elena Ferrante, l’Atene di Markaris.
Viola monta in sella alla Ducati e sfreccia sulla Statale 106, la strada della morte: l’immagine pop di un Sud che ha voglia di correre, e che non si arrende.
Angelo Cennamo