
Raccolta di sei testi (cinque racconti più la trascrizione di un discorso che Wallace tenne il 21 maggio del 2005 ai laureati del Kenyon College) che non ha equivalenti in nessun altro Paese del mondo, Stati Uniti compresi. La breve prefazione di Don DeLillo è un accorato intervento che lo scrittore newyorchese fece il 23 ottobre del 2008 al Memorial dedicato al collega e amico, aggiungerei discepolo, morto per suicidio il mese prima, per la precisione: il 12 settembre del 2008 (Wallace aveva quarantasei anni).
Nella raccolta spicca “Il pianeta Trillafon in relazione alla Cosa Brutta”. Si tratta del primo testo mai pubblicato da Wallace, uscito tre anni prima de “La scopa del sistema” – il romanzo d’esordio che rielabora la sua tesi di laurea in filosofia e che rivela il genio di Ithaca tra gli astri nascenti della nuova narrativa americana. Il racconto apparve nel 1984 sulla rivista universitaria “Amherst Review”, ma qualche anno dopo Wallace lo rivisitò e ripropose sotto altre forme in “Brevi interviste con uomini schifosi” col titolo “La persona depressa”. È la cosa più intima e autobiografica scritta da Wallace, una specie di presa di coscienza del proprio disagio psichico, e col senno di poi anche una tragica premonizione. Il suicidio, scrive il giovane autore e studente, non è che un gesto di coerenza: quando il depresso lo attua è già morto. Nell’allegoria della fiction il pianeta Trillafon è una seconda opportunità concessa al malato che sceglie di curarsi con i farmaci invece di sottoporsi a interventi più invasivi. Su Trillafon c’è acqua, c’è ossigeno, ma non è come vivere sulla Terra, abitarci è un surrogato della vita vera.
Il Solomon Silverfish del racconto omonimo (pubblicato nel 1987) è un avvocato sessantenne “sassone segreto, celta teorico” alto, col riporto, che quando s’incazza dà fendenti all’aria. Sua moglie Sophie è malata di cancro e lui, per alleviarle il dolore, le compra da un suo cliente “Troppo Carino” dosi di marijuana. Con uno stratagemma, nel cuore della notte, Solomon viene processato dai familiari della moglie perché per sposarla si sarebbe finto ebreo, ma l’unione autentica che lega i due ormai da trent’anni prescinde da qualunque credo religioso. Solomon ci viene raccontato da diverse prospettive attraverso un’ingegnosa polifonia.
Una delle doti che più ci sorprendono di Wallace è la naturalezza con la quale è riuscito a mescolare (anche nello stesso periodo) una lingua coltissima col parlato della strada: Wallace è un intellettuale pop, coniuga punti estremi e sa interpretare in chiave comica, con una levità che sfiora la poesia, i momenti più critici della propria sofferenza.
“Altra matematica” (pubblicato nel 1987) è un brevissimo racconto d’amore (oltre ogni altra apparenza), nel quale ci colpisce in particolare la curiosa sperimentazione dialogica.
“Crollo del ’69” (pubblicato nel 1989), il primo tentativo di Wallace di confrontarsi coi temi dell’economia e della finanza, temi che riprenderà e approfondirà qualche anno più avanti in opere ben più complesse (Infinite jest per esempio). “Ordine e fluttuazione a Northampton” (pubblicato nel 1991), tra i testi più geniali e comici scritti da Wallace, racconta un triangolo amoroso piuttosto stratificato sul piano concettuale, nel senso che la storia è ricca di divagazioni filosofiche e scientifiche e per questo può risultare di non facile lettura. Il libro si conclude col celebre discorso che Wallace tenne ai giovani laureati del Kenyon College nell’Ohio. Era il 2005, l’anno di “Considera l’aragosta”. Poco dopo Wallace avrebbe messo mano a quel librone rimasto incompiuto, riassemblato alla meglio e pubblicato postumo col titolo de “Il re pallido”. In una delle loro ultime conversazioni telefoniche, alla domanda di rito dell’amico Jonathan Franzen “Come ti senti oggi, Dave?”, lui rispose “Un po’ peculiare”. Questo era, questo è David Foster Wallace.
Angelo Cennamo