
“Eccoci arrivati in un mondo dentro il mondo. In queste lande straniere, queste foibe e sodaglie interstiziali che i giusti vedono dalle auto e dai treni, un’altra vita sogna”.
Ricordate Cornelius Suttree, il fuggiasco di Cormac McCarthy, l’uomo che lascia i suoi affetti più cari e si trasferisce in una baracca su un fiume per pescare pesci gatto? Questa storia, lontana nel tempo e un po’ vera, non è poi così diversa dalla sua.
Siamo nella Svezia dei primi del Novecento. Sven Ormson è un ragazzo scontroso, alla continua ricerca di sé stesso “mi sentivo prigioniero, e la Svezia era la mia cella”. Un giorno Sven abbandona la sua famiglia e un noioso lavoro in fabbrica per approdare a Spitsbergen, un’isola a nord della Norvegia. Un grave incidente in una miniera di carbone gli costa la perdita di un occhio. Ora lo chiamano “lo sfregiato” o “Sven Stoccolma”. Il secondo tempo della sua vita, tutta da scrivere, da improvvisare, fatta di viaggi e di avventure ai margini del Circolo Polare Artico, che non vi racconto, inizia da qui.
“Le memorie di Sven Stoccolma”, opera prima dell’americano Nathaniel Ian Miller – edito da Atlantide, l’editore di Tiffany McDaniel, con la traduzione di Luca Briasco – ha il sapore dei grandi classici della letteratura di frontiera. Prima ho citato “Suttree”, potrei aggiungere parte della bibliografia di Jack London e un altro romanzo degli anni Novanta, premio Pulitzer, che ho amato molto proprio perché, come questo, è fuori dai soliti canoni della letteratura d’oltreoceano: “Avviso ai naviganti” di Annie Proulx.
Angelo Cennamo