PURPLE AMERICA – Rick Moody

Hiram Frederick Moody III, scrittore e musicista newyorchese meglio conosciuto con lo pseudonimo di Rick Moody, allievo di John Hawkes dal quale ha attinto il piglio sperimentalista, il coraggio di esplorare nuove forme di intrattenimento infrangendo i vincoli e le regole più comuni della tradizione. È stato amico di David Foster Wallace, ha collaborato con riviste prestigiose come  “Esquire”, “New York Times”, “Harper’s” e “New Yorker”. Spesso viene accostato ad autori del passato come Updike e Cheever, io invece trovo che Moody somigli solo a se stesso o che i suoi riferimenti siano altri. Nel 2022 figurava tra gli autori che hanno partecipato alla William Gaddis Centenary Conference. Come Thomas Pynchon e Russell Banks, un altro dei suoi maestri, Gaddis ha sicuramente plasmato la voce di Moody, che nel tempo è arrivato a coniugare il postmodernismo della vecchia guardia con una narrazione emotivamente più accessibile.

Purple America (Rosso Americano) – uscito negli Usa nel 1997, lo stesso anno di Pastorale Americana di Philip Roth, Underworld di Don DeLillo e Mason & Dixon di Thomas Pynchon, e pubblicato in Italia da La nave di Teseo – è il romanzo della consacrazione di Moody dopo i primissimi successi Cercasi batterista, chiamare Alice e Tempesta di ghiaccio. La storia tragicomica riflette il modo di scrivere di Moody: frasi lunghissime e la capacità di sorprendere ricorrendo a più registri, dal comico al drammatico. Tutto accade in quarantotto ore, un tempo breve che nel romanzo però si dilata all’inverosimile. Hex Raitliffe è un trentottenne balbuziente alcolizzato con “massicci occhiali da saldatore legalmente-non-vedente-incapace-di vedere-a-un-palmo-dal-naso” tornato a casa dalla madre gravemente malata per accudirla dopo che il suo patrigno l’ha abbandonata di punto in bianco. Hex non è un figlio perfetto, anzi nella sua vita non è riuscito a combinare nulla di buono –  questo romanzo è fondamentalmente una storia di fallimenti e di occasioni mancate – lo sguardo di Moody verso i suoi personaggi è indulgente, misericordioso, altre volte cinico, brutale, come se volesse prendersi gioco, beffarsi delle debolezze altrui. La tenerezza con la quale Exe aiuta la donna (paralitica e quasi del tutto afona) a fare il bagno nel dettagliatissimo incipit (sette pagine senza un punto) ricorda la premura  del giovane protagonista di un altro bellissimo romanzo italiano di qualche anno fa: L’invenzione della madre, opera prima di Marco Peano. Come nel libro di Peano, le parole di Moody danno corpo al corpo, il corpo del genitore ingabbiato, martoriato dalla tetraplegia, che arriva a implorare il suicidio assistito come ultimo desiderio. Ma il rapporto tra Exe e la madre, che evolverà in un finale thriller, è solo uno dei diversi temi affrontati. Moody alleggerisce il dramma della malattia e della fuga del patrigno, coinvolto nella  stessa giornata anche in un incidente a una centrale nucleare, con una trama parallela, più grottesca, che ha come protagonista una ex compagna delle medie di Hex, Jane Ingersoll. Le due vicende viaggiano insieme ma sembrano non toccarsi. La descrizione anatomico-cabarettistica del breve corteggiamento, tra eros e tanathos, soprattutto del primo bacio tra i due e del conseguente accoppiamento sessuale: goffo, avvilente, esilarante, con Jane che “bofonchia vocali inedite”, è un pezzo di altissima letteratura, tra le scene migliori del romanzo. Non saprei dire quanti libri abbia venduto o venda Rick Moody nel suo paese e all’estero, quello che so è che Moody scrive meglio di tanti autori americani in Italia più popolari di lui “La bocca di lei sa di porti del New England, di sigarette, alcool, esperienza”. Nel 2001, il New Yorker lo inserì tra i venti giovani autori americani che avrebbero segnato la letteratura del nuovo secolo. Il suo ultimo libro è The Long Accomplishment: A Memoir of Struggle and Hope in Matrimony (La lunga impresa del mio matrimonio), uscito nel 2019 con Henry Holt e co. – in Italia edito da La Nave di Teseo.  

Angelo Cennamo

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