IN QUESTO PICCOLO MONDO – Philip K. Dick

Roger Lindahl e Virginia Watson, marito e moglie come tanti con alti e bassi, un figlio di sette anni che lei (Virginia) pretende di iscrivere in una scuola costosissima di Oja, cittadina a due ore di macchina da Los Angeles, e il negozio di televisori di lui (Roger): contenuto, poco in vista, ma ben avviato. È il primo frame di In questo piccolo mondo, romanzo scritto nel 1957 e pubblicato quasi trent’anni dopo, quando il suo autore, Philip Dick, era già passato a miglior vita. Per chi non avesse ancora fatto esperienza del Dick realista e più intimista, siamo in zona Richard Yates, in quella dimensione amara e sinistra del sobborgo dove covano sogni e dissapori familiari della middle class americana uscita ammaccata dalla seconda guerra mondiale. Come in Confessioni di un artista di merda, altro meraviglioso romanzo mainstream dello scrittore di Chicago, anche in questo caso il tema dominante è l’adulterio. L’istituto dove viene iscritto Gregg è lo stesso dove studiano i figli di Chic e Liz Bonner, i vicini di casa di Roger e Virginia che di lì a poco mineranno la loro già traballante unione matrimoniale. Chic è un uomo d’affari invadente che decide (da solo) di entrare in società con Roger: si informa su costi e ricavi, fa sopralluoghi nel suo negozio di elettrodomestici, progetta improbabili restyling dei quali dice di volersi accollare le spese. Liz è una donna svampita e sensuale che esce di casa senza indossare la biancheria intima, specie quando sa di incontrare Roger, col quale divide i viaggi di andata e di ritorno per accompagnare i figli a Oja, e una relazione clandestina folle, bruciante, fatta di soste in motel, sotterfugi, ripicche. Nel piccolo mondo di Dick si muovono pochi personaggi ma a primeggiare su tutto e tutti sono le donne. Da un lato il solido pragmatismo di Virginia, il cui amore per Roger è più forte dei condizionamenti e i moniti di Marion, la madre di lei che in quell’inconcludente del genero non ha mai creduto; dall’altro la romantica sciatteria di Liz, la figura chiave della storia, la circe intorno ai cui capricci e slanci emotivi ruotano tutte le aspettative del lettore. Siate indulgenti con Roger: non è il ragazzo rozzo e incapace dell’Arkansas che Marion rimprovera a Virginia di aver sposato; fa del suo meglio, vuole bene a Gregg e gestisce con successo quel negozietto costatogli tanta fatica e ostinazione. La sua unica colpa è aver ceduto al richiamo di Liz, ma quanti al suo posto non sarebbero inciampati nei subdoli tentativi di seduzione di questa specie di Marilyn? Il realismo di Philip K. Dick è uno scrigno di capolavori semisconosciuti che meritano migliori ribalte. Senza troppa enfasi Mondadori li ha riportati in libreria con una nuova veste grafica (la traduzione di In questo piccolo mondo è di Simona Fefè) nella collana degli Oscar. Prima ho citato Richard Yates, altro gigante sottostimato della narrativa americana (in Italia lo pubblica minimum fax); è il riferimento più vicino al Dick fuori dal cosmo e dalla distopia, forse il Dick migliore.    

Angelo Cennamo

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