“Il passato non si lascia mai seppellire per davvero; torna sempre, con la sua camminata lenta e le unghie sporche di terra.” È su questa inquietudine che si apre L’Educatore, il nuovo romanzo di Antonio Lanzetta, autore salernitano che ritorna con il libro più radicato nella sua città e al tempo stesso più ambizioso per la profondità dei temi trattati. Il giudice Borrelli viene ritrovato morto nella sua auto, parcheggiata nel cortile della villa a Raito. Sul volto un’espressione di sorpresa, come se la morte fosse arrivata improvvisa, ma non casuale. L’arma del delitto è una sparachiodi; un’esecuzione brutale, chirurgica, carica di simboli. All’interno dell’abitacolo, tracciata con un gessetto bianco, compare una sequenza di numeri, apparentemente priva di senso. A indagare è il vicequestore Fausto De Santis, un uomo tormentato, con una ferita aperta nell’anima: anni prima Fausto ha perso suo figlio, ucciso da un serial killer conosciuto come l’Educatore. Da allora, De Santis ha trasformanto la rettitudine e l’etica professionale in una specie di rifugio, l’unico possibile per non soccombere alla devastazione mentale. Di tanto in tanto, De Santis lo rivede e parla con lui come Rocco Schiavone di Manzini con la moglie Marina. Accanto a De Santis c’è l’ispettrice Ferri, collega leale e lucida, in un’indagine che presto si trasforma in qualcosa di più grande: un ritorno al passato, una spirale di violenza che sembra emergere da un tempo sepolto e ora risvegliato. I numeri riappaiono accanto ad altre vittime come un’impronta ricorrente. Tutto sembra condurre a un caso archiviato alla fine degli anni Novanta, a un assassino ritenuto morto, a una storia che forse non si è mai davvero conclusa. È possibile che l’Educatore sia tornato? O che qualcuno stia replicando il suo metodo? Il romanzo si apre con De Santis che salva un ragazzo dal suicidio: “Ci sono passato anch’io. Oggi sono qui e posso salvare te. Magari un giorno tu farai lo stesso favore a qualcun altro.” Frasi che racchiudono il senso profondo del libro: la memoria come salvezza, la trasmissione del dolore che diventa cura. L’omicidio Borrelli non è un caso isolato, ma il primo tassello di un mosaico di sangue che attraversa Salerno e la sua provincia, città che Lanzetta racconta con una toponomastica forte, precisa, trasformandola in un luogo narrativo denso e riconoscibile, specialmente per chi come me ci vive. De Santis è costretto a riaprire vecchie ferite e a chiedere l’aiuto di chi, come l’ex collega Lanzara, lo salvò durante una drammatica operazione nel 1999, quando affrontava proprio l’Educatore. Lanzetta intreccia passato e presente, cronaca e psichiatria, memoria e colpa, in un romanzo che è allo stesso tempo poliziesco puro e indagine interiore. Alcune delle sue cifre ricorrenti: l’infanzia spezzata, la malattia mentale, le cicatrici invisibili, riaffiorano anche qui, amplificando l’impatto emotivo della storia. L’Educatore è un poliziesco coraggioso, che si muove lontano dai territori consolidati del crimine organizzato o della storia politica, per esplorare un presente ferito, dolente, ma non privo di umanità. Un crime ben strutturato dall’inizio alla fine (soprattutto alla fine, passaggio sul quale Lanzetta è migliorato molto rispetto ad altri finali forse un po’ frettolosi), e raccontato in una prima persona capace di restituire tutta la complessità di un male che non ha un solo volto e che torna da dove non si pensava più potesse riemergere.
Angelo Cennamo