A novant’anni suonati, Woody Allen esordisce nel mondo del romanzo con Che succede a Baum, opera uscita negli Stati Uniti e in contemporanea in Italia, con La Nave di Teseo e la traduzione di Alberto Pezzotta. Non è certo il suo primo slancio letterario, ricordiamo le celebri raccolte di racconti umoristici, ma è il suo primo vero romanzo, una sorta di autobiografia mascherata, e nemmeno troppo. Il protagonista, Asher Baum, è un alter ego trasparente: giornalista e scrittore ebreo newyorkese di mezza età, paranoico, ipocondriaco, logorroico, e con l’abitudine di parlare da solo. A metà strada tra i personaggi più tormentati e nevrotici di Saul Bellow (da Herzog e Mr. Sammler) e quelli più ironicamente autolesionisti di Philip Roth (Alexander Portnoy, Nathan Zuckerman), Baum incarna il prototipo dell’intellettuale colto e fallito, pieno di risentimenti e afflitto da una lucida coscienza dei propri limiti.
“Ultimamente si trovava spesso in disaccordo con se stesso”.
Questo sdoppiamento interiore, che genera dialoghi vivaci e con battute a raffica, è il cuore pulsante del romanzo. Baum è un uomo in declino, non solo artistico ma esistenziale. Vive isolato nella campagna del Connecticut, in una casa di trenta ettari che disprezza, insieme alla moglie Connie, bellissima, laureata ad Harvard e con un curriculum sentimentale che lo mette in soggezione. Il suo matrimonio è in crisi, logorato dalla gelosia e dall’invidia: Baum è ossessionato dal successo degli ex mariti di Connie e dai suoi sospetti tradimenti, convinto che almeno una volta lei sia finita a letto con suo fratello Josh: “Un uomo elegante. Si era preso i pochi geni buoni… a me sono toccati solo i calcoli biliari di papà e la deprimente visione del mondo di mamma”.
Ma non è solo Connie a tormentarlo, c’è anche il figliastro Thane, giovane prodigio della letteratura, finalista al National Book Award a soli ventiquattro anni. Baum, incapace di contenere il livore, lo invidia visceralmente: l’ennesimo confronto che lo fa sentire un perdente agli occhi di sua moglie. Connie lo aveva sposato credendolo un romanziere alla stregua di Philip Roth o di Saul Bellow, ma lui “non è stato all’altezza del suo potenziale”. Un tema centrale del libro è proprio la mistificazione culturale: Baum è un autore di romanzi stroncati dalla critica (“troppo ambiziosi per il suo scarso talento”), dogmatici, e le sue opere teatrali pare ottengano successo solo all’estero, così almeno dice lui. La vita sentimentale di Asher è disseminata di tracolli. Dopo la prima moglie, Nina, si era innamorato della sua sorella gemella. La seconda moglie, Tyler, lo aveva lasciato per seguire un batterista rock ricco sfondato in Nuova Zelanda. Baum rivede i suoi tratti nella fidanzata del figliastro: un gioco psicologico di ritorni e proiezioni che preannuncia il finale pirotecnico della storia. Non manca una vena grottesca anche nelle radici familiari: il nonno Samuel, artista in Germania durante gli anni del nazismo, fu consigliato direttamente da Goebbels a lasciare il Paese perché “le cose si sarebbero messe male per gli ebrei”. La narrazione si muove tra l’isolamento forzato del Connecticut e una New York mitica e cinematografica, idealizzata e mai veramente presente: la metropoli della giovinezza perduta, della cultura ebraica d’élite: colta, bianca, progressista. Uno degli aspetti più riusciti del romanzo è la rappresentazione impietosa del mondo editoriale. Allen non risparmia cinismo, imposture, logiche di marketing, editor di tendenza e giovani autori paraculi. Baum è un sopravvissuto di un’altra epoca, troppo vecchio per aggiornarsi, troppo orgoglioso per piegarsi. Tra crisi esistenziali, risentimenti familiari, fallimenti professionali e autoanalisi spietate, il romanzo ci regala numerosi momenti di comicità. Strepitosa è la scena in cui Baum propone al fratello di riesumare il padre perché si sono dimenticati di seppellirlo con il grembiule di pelle d’agnello, simbolo sacro per i massoni. Scena che richiama neanche tanto velatamente l’episodio finale di Patrimonio di Philip Roth, dove il padre Hermann rimprovera il figlio in sogno per non averlo vestito come si conveniva.
Che succede a Baum è un romanzo brioso, con molti spunti esilaranti e nello stesso tempo venato di quella malinconia elegante che da sempre caratterizza l’opera di Allen. Un libro denso di citazioni filosofiche, musicali e letterarie degne di un veterano della narrativa. Potrà stupirvi ma il talento di Allen scrittore è all’altezza di quello cinematografico, fidatevi: le centottanta pagine di Che succede a Baum scorrono veloci, tra risate, attacchi di panico, colpi di scena e dialoghi serratissimi e ben calibrati. Insomma, da questo esordio non ci si poteva aspettare di meglio. Provaci ancora, Woody.
Angelo Cennamo