LA MIA ÀNTONIA – Willa Cather

Dopo Winesburg, Ohio di Sherwood Anderson, Feltrinelli riporta in libreria un altro pilastro della letteratura del Midwest: La mia Ántonia di Willa Cather con la nuova traduzione di Monica Pareschi. Insieme a Main Street di Sinclair Lewis, questi tre romanzi (Winesburg, Ohio è un romanzo corale e destrutturato più che una raccolta di shortstories) formano una sorta di trilogia ideale del pionierismo nordamericano.

America, fine Ottocento. Sconfinate praterie battute dal vento, cieli vasti e mobili, binari che si spingono fino agli estremi confini della frontiera. È in questo scenario che Willa Cather ambienta la vicenda di Ántonia Shimerda e Jim Burden: due destini che si incontrano da bambini, e, pur tra mille deviazioni, restano legati per sempre. Ántonia, giovane immigrata boema, arriva negli Stati Uniti con la sua famiglia senza sapere una parola d’inglese. Jim, orfano, viene accolto dai nonni nelle campagne del Nebraska. Il loro primo incontro avviene a bordo di un treno diretto a ovest, ma è tra i campi di mais e l’erba alta che i due diventano inseparabili: insieme esplorano la natura selvaggia, si raccontano le rispettive origini, imparano a decifrare quel nuovo mondo, finché una tragedia segna un punto di svolta, spingendo le loro vite su strade divergenti ma mai completamente separate. Attraverso la voce di Jim, narratore affettuoso e nostalgico, La mia Ántonia si rivela un romanzo della memoria, del legame con la terra, dell’identità migrante. Ántonia non è un’eroina romantica né la vittima di un destino crudele, ma la personificazione di una forza silenziosa, fatta di lavoro, ostinazione, dignità. 

“Era come se per noi quella ragazza rappresentasse, più di chiunque altro, la terra, le circostanze, tutta l’avventura della nostra infanzia”.

In un’epoca segnata da profondi mutamenti stilistici e culturali, Cather percorre una strada autonoma e personale. Se Sinclair Lewis graffia con la satira i miti ipocriti della provincia americana, Cather preferisce un tono più sommesso e partecipe, scavando nei legami umani e nella sacralità del quotidiano. La sua letteratura è una lunga e briosa ode alla tenacia, alla memoria, al paesaggio come proiezione di sè. Il vento del Nebraska lo sentiamo sibilare costantemente tra le pagine del libro. In quel soffio si avverte il respiro collettivo di una comunità di migranti, il peso delle speranze spezzate e la promessa, non del tutto disillusa, di un domani possibile. Il romanzo diventa così il racconto sfaccettato di una frontiera interiore: uno spazio di transizione tra vecchio e nuovo mondo, tra appartenenza e trasformazione.

Nata in Virginia nel 1873 e cresciuta proprio in Nebraska, Cather è una figura centrale del primo Novecento. Formatasi sotto l’influenza del realismo ottocentesco, ha vissuto in pieno il fermento modernista senza però lasciarsene travolgere. Nei suoi scritti rifiuta gli artifici descrittivi e le mode del tempo: il romanzo deve liberarsi degli “arredi” superflui per avvicinarsi a una verità narrativa più nuda ed essenziale, scrive in un noto saggio. La scrittura, sobria ed evocativa, fa dialogare costantemente paesaggio e sentimento, natura e identità. A differenza di Henry James, altro autore attento alle trasformazioni sociali e alle tensioni tra conservazione e progresso, ma che indaga le sfumature psicologiche dell’élite borghese, Cather volge lo sguardo verso i margini: alle donne, ai contadini, agli emigranti, ai silenzi del mondo rurale. La sua estetica è profondamente etica: incentrata non sull’innovazione formale, ma sull’autenticità dell’umano. A lungo trascurata dalla critica accademica perché considerata anacronistica rispetto ai paradigmi modernisti, è stata riscoperta a partire dagli anni Settanta grazie agli studi femministi e queer, che hanno approfondito e rivelato la complessità delle sue figure, delle loro interconnessioni. Ántonia, in particolare, è stata rivista come simbolo di una femminilità altra, non riconducibile ai soliti ruoli domestici dominanti. Il suo rapporto con Jim, lontano da ogni convenzione, si apre a una dimensione affettiva fluida, fatta di desideri inespressi e di legami non normati. È questa forse la vera chiave di lettura del romanzo.

Angelo Cennamo

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