Di Matt Ruff, autore di Seattle ma newyorchese di nascita, avevo letto La trilogia dei lavori pubblici, in Italia edita da Fanucci (vado a memoria), e poco altro. A distanza di anni, ritrovo Ruff con Set This House in Order – La casa delle anime – datato 2003, uno dei suoi lavori più complessi e originali, un’opera che fonde elementi di psicologica, realismo magico e thriller esistenziale, per raccontare argomenti non facili come il trauma, la memoria, la costruzione dell’identità. Il protagonista del romanzo, tornato in libreria con minimum fax e la traduzione di Luca Briasco, la stessa della prima edizione del 2005 sempre di Fanucci, è Andrew Gage, un uomo affetto da disturbo dissociativo dell’identità (DID), un tempo noto come disturbo da personalità multiple. In seguito a un’infanzia segnata da abusi estremi, Andy ha sviluppato una “comunità interna” di personalità autonome tra cui spiccano Andrew (la voce narrante), Sefaris (la figura protettiva), Adam (l’adolescente irriverente), e altri ancora, ognuna con una funzione specifica e una propria visione del mondo. Per gestire questa complessità psichica, Andy ha costruito una “casa” mentale con un’organizzazione interna delle varie identità che permette al corpo di condurre una vita esteriore apparentemente normale. L’equilibrio precario viene messo in crisi quando Andy incontra Penny Driver, una giovane donna anch’essa affetta da DID, ma del tutto inconsapevole della propria condizione. Le sue personalità (Thread, Maledicta, Malefica e Loins) si muovono senza alcun coordinamento, lasciando la ragazza spesso spaesata. Attraverso un incontro forzato e inizialmente conflittuale, le due menti infrante intraprendono un viaggio che è insieme interiore e narrativo, portandole a confrontarsi con le rispettive verità rimosse. Il tema del disturbo dissociativo Ruff lo affronta con la giusta dose di sensibilità e un uso sapiente della metafora. La “casa interiore” non è soltanto un espediente narrativo singolare, ma un luogo simbolico dove si gioca il conflitto tra le diverse parti, tra passato e presente, tra rimozione e consapevolezza. Se la struttura del romanzo può apparire inizialmente labirintica e in certi passaggi ridondante, è proprio attraverso questa complessità che l’autore riesce a restituire l’esperienza di una psiche frammentata. Uno degli elementi di forza del libro è lo stile di Ruff: preciso, controllato, capace di registrare con naturalezza toni molto diversi, dal lirismo malinconico all’ironia dissacrante, senza mai cadere nel sensazionalismo o nella patologizzazione gratuita. La voce di Adam, l’adolescente che abita la mente di Andy, fornisce momenti di ironia che servono ad alleggerire la storia senza tuttavia banalizzarla. Il racconto procede su più livelli: psicologico, semiotico e narrativo, con una coerenza interna equilibrata e matura. Devo dire che Ruff ha un talento speciale nel rendere semplice ciò che in mani meno esperte sarebbe potuto risultare confuso o artificioso. Il lettore accetta senza fatica la realtà interna di Andrew e impara a conoscere (e a distinguere) le sue numerose personalità, ognuna dotata di una voce e una psicologia definita. Nonostante la struttura complicata, il romanzo scorre con la leggerezza e la tensione di un thriller. Ma non stiamo parlando di un thriller. Più che un romanzo di genere, La casa delle anime è un racconto di formazione amplificato, che esplora il tema della ricerca del proprio posto nel mondo. È una storia che parla di guarigione, di accettazione e di equilibrio, senza però cadere nel melodrammatico. Ci sono momenti teneri, altri esilaranti, altri ancora profondamente inquietanti, ma tutti si fondono con armonia. L’unico vero limite risiede forse nella sua stessa ambizione. Alcuni lettori potrebbero trovare dispersiva la molteplicità di voci interne, mentre la costruzione metaforica della “casa mentale” rischia, in certi passaggi, di sovraccaricare il racconto con una simbologia troppo insistita. Eppure, anche nei suoi momenti meno riusciti, il romanzo mantiene un’intelligenza narrativa che raramente si incontra in opere simili. Questo perché Ruff evita tanto il didascalismo quanto la spettacolarizzazione del disturbo mentale, offrendo della dissociazione un ritratto dolente ma molto umano.
Angelo Cennamo