Serena aveva già fatto una breve apparizione in Italia nel 2014, sei anni dopo la sua prima pubblicazione, col titolo Una folle passione e la traduzione di Valentina Daniele. In questi giorni il romanzo ritorna disponibile con La Nuova Frontiera, che Rash ha saputo valorizzarlo e imporlo all’attenzione dei lettori così come un altro piccolo editore (NNEditore) era riuscito a fare con Kent Haruf. Con Serena, a mio avviso il migliore dei libri “italiani” di Rash, lo scrittore di Chester costruisce uno dei più potenti affreschi della letteratura americana contemporanea, un romanzo che intreccia l’epopea del capitalismo nascente alla tragedia di una coppia destinata all’autodistruzione. Ambientato negli Appalachi della Carolina del Nord nel 1929, Serena è insieme romanzo storico, parabola morale e tragedia shakespeariana, in cui la natura e l’uomo si fronteggiano come forze in lotta per la sopravvivenza.
Al centro della storia si erge la figura magnetica di Serena Pemberton, donna di straordinaria determinazione e gelida intelligenza, che accompagna il marito George nel sogno di edificare un impero del legname in un’America ferita dalla Grande Depressione. Dove la miseria spinge alla rinuncia, i Pemberton scelgono l’espansione cieca, trasformando le foreste in territorio di conquista, in pura materia da sfruttare. In questo gesto di dominio, Rash fa affiorare la metafora di un’intera nazione che, nell’illusione del progresso, confonde la ricchezza con la distruzione. Serena è un personaggio che trascende la storia per farsi simbolo. In lei convivono la forza arcaica della pioniera e l’ambiguità della dark lady elisabettiana: una Lady Macbeth trapiantata nel cuore dell’America rurale. La sua volontà assoluta la pone oltre le convenzioni del genere e della moralità, fino a trasformarla in un archetipo della modernità: una donna che vuole dominare il mondo naturale e umano con la stessa ferocia con cui la sua aquila addestrata ghermisce i serpenti delle montagne.
Ron Rash, poeta prima che narratore, scrive con una prosa che unisce precisione realistica e densità lirica. Ogni immagine naturalistica diventa una partitura di contrasti: la bellezza austera dei monti appalachiani si accompagna all’eco delle seghe e delle scuri, la vita dei boscaioli si misura con l’implacabile ritmo del profitto. Come in altre opere, con Rash il paesaggio si fa organismo vivo, resistente e ferito, teatro di un conflitto che è insieme economico, morale e metafisico. In questo Rash si colloca nella tradizione di Cormac McCarthy e Charles Frazier, autori capaci di trasformare la natura in una dimensione tragica e sacra, non solo sfondo ma protagonista.
La vicenda dei Pemberton si apre sotto il segno della violenza: una scena iniziale in cui la morte e la sopraffazione si annunciano come presagio di tutto ciò che seguirà. Da quel momento, il romanzo procede con la tensione di un thriller e la potenza del mito. L’ascesa economica dei protagonisti si accompagna a una progressiva discesa morale, mentre la comunità montana osserva (e subisce) la loro implacabile ambizione. Rash orchestra questa coralità con sapienza quasi cinematografica: attorno alla coppia centrale si muove un mondo di lavoratori, cacciatori, donne e predicatori che incarnano il volto concreto di un’America ferita ma non ancora domata. Il punto di non ritorno arriva quando Serena percepisce come minaccia l’esistenza del figlio illegittimo del marito. In quel bambino innocente si concentra l’ossessione per il controllo totale, il bisogno di cancellare ogni traccia di vulnerabilità. Da qui in poi la protagonista si trasforma in una figura mitologica, divorata dalla propria ambizione. È in questo arco che Rash rivela la sua prospettiva tragica: come in Shakespeare, la rovina non è imposta dal fato, ma generata dall’eccesso stesso di potere e volontà.
La scrittura di Rash si distingue per una doppia tensione: da un lato la crudezza della cronaca, dall’altro un lirismo che sfiora il mistico. Rash alterna i tecnicismi del lavoro forestale a pagine di pura contemplazione. Il risultato è un perfetto equilibrio tra durezza e poesia. In Serena, la storia privata si dilata fino a diventare allegoria nazionale. La corsa al taglio delle foreste diventa immagine della modernità americana: un’epoca che confonde la grandezza con la devastazione. Quando George Pemberton afferma che lui e la moglie abbatterebbero ogni albero del mondo, Rash non racconta solo la follia di un personaggio, ma la logica stessa di un sistema economico fondato sull’avidità e sulla rimozione del limite. Per questo Serena è più di un romanzo storico: è una riflessione sulla violenza insita nel sogno americano, un racconto in cui la grandezza si converte inevitabilmente in colpa. Nel furore dei Pemberton si specchia il destino di una civiltà che, nel tentativo di dominare la natura, finisce per distruggere sé stessa. Rash ci consegna così una tragedia senza catarsi, dove la bellezza del mondo sopravvive solo come eco, come memoria della vita che l’uomo ha deciso di sacrificare sull’altare del potere.
Angelo Cennamo