IL GIARDINO DEI FINZI-CONTINI – Giorgio Bassani

 

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De Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani conservavo un vago ricordo liceale mescolato confusamente alle immagini del film – premio Oscar – diretto da Vittorio De Sica, e uscito otto anni dopo la pubblicazione del libro. Rileggendo il romanzo in età adulta, con calma, con più attenzione, lontano ahimè dalle atmosfere cupe e concitate delle interrogazioni di fine anno e dal frastuono delirante dei Duran Duran, ho ritrovato evidentemente un’opera molto diversa dalla sua, forse, innaturale collocazione scolastica – la scuola allontana i giovani dal piacere della lettura – e ne ho potuto finalmente apprezzare la bellezza delle ambientazioni oltre che della trama, la scrittura fluida, pulita, le dolorose implicazioni storiche che fanno da sfondo alle vicende narrate, la poesia che le avvolge, le malinconie taciute dei protagonisti.

Corso Ercole I d’Este questa strada di Ferrara è così nota agli innamorati dell’arte e della poesia del mondo intero che ogni descrizione che se ne facesse non potrebbe non risultare superflua

La storia raccontata da Bassani comincia e finisce qui, alla fine degli anni Venti del secolo scorso. Addentrandoci oltre il muro di cinta, bordato di cipressi, tigli e platani secolari, si schiude il piccolo mondo antico di un’aristocratica famiglia ebrea: i Finzi-Contini. Il professor Ermanno, sua moglie Olga, i figli Alberto e Micòl, la servitù. Quasi dieci ettari di bosco, e più in fondo, al termine di un viale ghiaioso, un edificio, nel ricordo della voce narrante – senza volto e senza nome – ancora superbo ed elegante: la mole neogotica della magna domus. Nel ’28 Micòl era una tredicenne bionda con grandi occhi chiari, già bella e dispettosa come dieci anni dopo, quando, promulgate le leggi razziali, il protagonista del racconto, su invito di Alberto, accede per la prima volta in quel luogo fuori dal mondo, nascosto tra la fitta vegetazione, che da ragazzino poteva solo immaginare percorrendo la strada esterna.

Il giardino dei Finzi-Contini, con il suo campo da tennis dietro l’edificio, è diventato il ritrovo di una gioventù universitaria, borghese ed ebrea, da un giorno all’altro esclusa dai circoli sportivi piu esclusivi della città, il dignitoso surrogato di una socialità negata. Qui il protagonista trascorrerà i pomeriggi autunnali del ’38, giocando a tennis con gli altri amici e passeggiando con l’adorata Micòl. A piedi o in bicicletta, a parlare del più e del meno, degli studi universitari da completare o di botanica. Quando la pioggia improvvisa costringe i due a riparare in un capanno e ad accomodarsi tra i divanetti di una vecchia carrozza di famiglia, per un attimo mi è sembrato di rivedere una celebre scena di Titanic, quella in cui Jack e Rose si abbandonano repentinamente alla passione tra i sedili di un auto parcheggiata nella stiva. La scena prosegue con i loro corpi sudati, avvinghiati l’uno all’altro, che sfumano dietro i vetri appannati dal desiderio. Ma il protagonista del romanzo non ha la stessa intraprendenza del giovane Di Caprio né Micòl la sfacciataggine di Kate Winslet. E allora di quel goffo contatto solitario nel chiuso della carrozza non resterà che il rimpianto di lui, troppo timido, troppo timoroso, per dichiarare l’amore. Il primo bacio, quello sì, prima o poi arriverà, ma sarà troppo tardi per dare inizio a ciò che non sarebbe mai cominciato. “Tutto perduto, niente perduto” avrebbe detto Stendhal.

Bassani ci racconta un sentimento equivocato, un amore non corrisposto, impossibile, l’avvilente e spudorata insistenza di un giovane innamorato oltre il rifiuto della propria amata. Posso tornare ogni tanto? Chiede l’illuso pretendente a una Micòl stufa ai limiti della maleducazione. Sei senza dignità, gli risponde lei, prima che la storia curvi sul dramma della deportazione e la farsa si trasformi in tragedia.

Il giardino dei Finzi-Contini è stato pubblicato nel 1962. Tre anni prima, Il gattopardo si era aggiudicato il premio Strega davanti a Una vita violenta di Pasolini. Negli stessi mesi, Raffaele La Capria scriveva Ferito a morte, Natalia Ginzburg Lessico Famigliare, Dino Buzzati i suoi Sessanta racconti, Carlo Emilio Gadda La cognizione del dolore e Primo Levi La tregua. Capolavori senza tempo, i grandi romanzi italiani, i romanzi di una nazione che in quegli anni aveva ancora molto da raccontare.

Angelo Cennamo

 

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