LINCOLN NEL BARDO – George Saunders

Lincoln nel Bardo di George Saunders

“Un uomo estremamente alto e trasandato avanzava fra le tenebre. Una grave infrazione. Non era orario di visite. Il cancello d’ingresso era chiuso. Piangeva sottovoce, e la crescente frustrazione per il fatto di essersi smarrito lo rendeva ancor più triste”.

 

“Lanciatosi fuori dalla porta, il ragazzino gli corse subito incontro, la gioia dipinta in volto. Che mutò in costernazione quando l’uomo non lo sollevò in braccio come, immagino, usava fra loro. Il ragazzino gli passò attraverso, mentre l’uomo proseguiva verso la casa di pietra bianca, piangendo”. 

L’uomo che avanza fra le tenebre è Abramo Lincoln. È la notte del 25 febbraio del 1862, la Guerra Civile è iniziata da un anno, e il presidente degli Stati Uniti si reca nella cripta del cimitero di Georgetown, a Washington, per aprire la bara e abbracciare Willie, il figlio prediletto, morto di tifo poche ore prima, durante una festa da ballo, all’età di undici anni. Questo è il dato storico su cui George Saunders – scrittore texano che il New Yorker colloca nella lista dei venti scrittori per il XXI secolo – imbastisce la trama di Lincoln nel Bardo, il suo primo romanzo, uscito nel 2017 e subito diventato un caso editoriale.

Nella tradizione buddhista, il Bardo è quello stato intermedio in cui la coscienza o consapevolezza della propria morte è sospesa tra la vita passata e quella futura.  È un non luogo, un altrove indefinito, una specie di limbo abitato da anime convinte di essere malate e di fare ritorno, prima o poi, una volta guarite, nel mondo dei vivi. Le casse da morto le chiamano “casse del malato”, e le tombe “case del malato”.

Tutto si svolge in una sola notte. Il presidente prende il corpo del piccolo Willie dalla bara, la “forma malata”, e lo stringe a sé. Piange. Willie lo guarda, gli gira intorno, entra nel suo corpo, nella sua mente, la pervade. Attraverso questa immedesimazione, fisica e spirituale, possiamo leggere nei pensieri del padre addolorato tutto lo strazio e l’avvilimento per quella morte inaspettata e crudele. Dietro di lui, lo stupore delle altre anime, che assistono alla scena per poi intromettersi, penetrare nello stesso corpo e amalgamarsi tutte insieme. Cento corpi diventano uno solo, una sola mente, un solo dolore. Willie non riesce a separarsi da suo padre e suo padre non riesce a sperarsi da lui. Il piccolo viene accompagnato da tre spiriti guida, le tre voci narranti: un reverendo; un omosessuale suicida, e un quarantaseienne colto dalla morte poco prima di consumare il matrimonio con la sua seconda moglie adolescente, e che ora vaga per il Bardo con il suo “formidabile membro” eretto. Nella storia tragica e surreale di Saunders non mancano momenti di leggerezza e di comicità – è la cifra dei grandi scrittori quella di far ridere anche nei momenti inopportuni o quando non te lo aspetti. Nel contatto con il padre Willie capisce finalmente di essere stato strappato alla vita “Non siamo malati, siamo morti”. Ora tutti sanno. Devono sapere.         

“Suo figlio se n’era andato; suo figlio non era più…suo figlio non era in nessun luogo; suo figlio era in ogni luogo”.

 

Lincoln nel Bardo è un’opera letteraria indefinibile. Considerarla un romanzo nella sua accezione classica sarebbe una forzatura: paragrafi di prosa si alternano a citazioni brevi, alcune vere altre riprodotte nella finzione. Frammenti che acquistano senso e significato solo se letti nella loro interezza e collegati alle altre parti della narrazione, quelle, per intenderci, più lineari e comprensibili. Saunders con maestria rimodula il linguaggio postmoderno in una scrittura volutamente ottocentesca. Il risultato è strabiliante. Leggendo il libro ho pensato alla lettera che Pasolini scrisse a Moravia per illustrare il progetto ambizioso al quale stava lavorando nei primi anni Settanta: Petrolio. Non sarà un vero e proprio romanzo, scrive Pasolini, ma una nuova forma letteraria. Ecco cos’è Lincoln nel Bardo: una nuova forma letteraria, con una struttura elastica che si scompone e si ricompone paragrafo dopo paragrafo. Un libro intenso e poetico, di non facile lettura, tra la Divina commedia di Dante e a A Livella di Totò.

Angelo Cennamo         

Standard

Lascia un commento